domenica 6 gennaio 2013

6 Gennaio 1980
Piersanti Mattarella 44 anni, politico democristiano, presidente della Regione Siciliana

Piersanti Mattarella (Castellammare del Golfo, 24 maggio 1935 – Palermo, 6 gennaio 1980) è stato un politico italiano, assassinato dalla mafia mentre era presidente della Regione Siciliana.

Figlio di Bernardo Mattarella, uomo politico della Democrazia Cristiana, e fratello di Sergio Mattarella. Crebbe con istruzione religiosa, studiando a Roma al San Leone Magno, dei Fratelli maristi. Dopo l’attività nell’Azione cattolica, si dedicò alla politica nella Democrazia Cristiana. Fra i suoi ispiratori ci fu Giorgio La Pira, avvicinandosi alla corrente politica di Aldo Moro e divenendo consigliere comunale a Palermo.
Assistente ordinario all’Università di Palermo, fu eletto all’Assemblea regionale siciliana nel 1967 nel collegio di Palermo, rieletto per tre legislature. Dal 1971 al 1978 fu assessore regionale alla Presidenza. Fu eletto presidente della Regione Siciliana nel 1978, guidando una giunta di centro sinistra, con il sostegno esterno del PCI. Nel 1979 dopo una breve crisi politica, formò un secondo governo.

Rappresentò una chiara scelta di campo il suo atteggiamento alla Conferenza regionale dell’agricoltura, tenuta a Villa Igea la prima settimana di febbraio del 1979. L’onorevole Pio La Torre, presente in quanto responsabile nazionale dell’ufficio agrario del Partito Comunista Italiano (sarebbe divenuto dopo qualche mese segretario regionale dello stesso partito) attaccò, con furore, l’Assessorato dell’agricoltura, denunciandolo come centro della corruzione regionale, e additando lo stesso assessore come colluso alla delinquenza regionale. Mentre tutti attendevano che il presidente della Regione difendesse vigorosamente il proprio assessore, sgomentando la sala, Mattarella riconobbe pienamente la necessità di correttezza e legalità nella gestione dei contributi agricoli regionali.
Un solo periodico sfidando il clima imposto pubblicò il resoconto, sottolineando come fosse generale lo sconcerto e come fosse comune la percezione che si apriva, quel giorno a Palermo, un confronto che non avrebbe non potuto conoscere eventi drammatici. Un senatore comunista e il presidente democristiano della regione si erano, di fatto, esposti alle pesanti reazioni della mafia.

Il 6 gennaio 1980, appena entrato in auto insieme con la moglie e col figlio per andare a messa, un killer si avvicinò al suo finestrino e lo uccise a colpi di pistola. In quel periodo stava portando avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale. Si presume che ad ordinare la sua uccisione fu Cosa Nostra, a causa del suo impegno nella ricerca di collusioni tra mafia e politica.

Inizialmente considerato un attentato terroristico, il delitto fu indicato da Tommaso Buscetta come delitto di mafia. Secondo il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, Giulio Andreotti era consapevole dell’insofferenza della mafia per la condotta di Mattarella, ma non avvertì né l’interessato né la magistratura, pur avendo partecipato ad almeno due incontri con capi mafiosi aventi ad oggetto proprio la politica di Piersanti Mattarella e, poi, il suo omicidio. Il fatto viene riportato nella sentenza del giudizio di Appello del lungo processo allo stesso Giulio Andreotti confermata dalla Cassazione nel 2004. La stessa sentenza afferma che l’allontanamento di Andreotti dal sodalizio mafioso fu dovuta proprio all’efferato delitto Mattarella.
Fonte

Trentuno anni fa, nel giorno dell’Epifania, in una Palermo indaffarata a riporre l’albero di Natale nel ripostiglio, si accasciava al suolo l’uomo più in vista della Sicilia dell’epoca, il suo Presidente: Piersanti Mattarella. Morto paradossalmente in una strada che porta il nome di Libertà, il presidente siciliano era stato il punto di riferimento della parte sana della società civile e di quell’esigua minoranza politica che aveva a cuore gli interessi del proprio popolo. Un elemento raro da trovare. Gli uomini politici del suo calibro, quelli che combattono a testa alta contro la sopraffazione, la corruzione e le infiltrazioni criminali, a costo anche della propria vita, sono oggi in via d’estinzione.

Piersanti Mattarella divenne il portavoce di una ventata di cambiamento allorquando, in un’aula gremita alla Conferenza regionale dell'agricoltura, tenuta a Villa Igea la prima settimana di febbraio del 1979, dopo l’intervento dell’onorevole Pio La Torre, che denunciava l'Assessorato dell'agricoltura, designandolo come centro della corruzione regionale e additando lo stesso assessore come colluso alla delinquenza regionale, quando tutti si aspettavano una sua dura presa di posizione contro il politico comunista e in difesa del proprio assessore, il Presidente stupì tutti, parlando dell’importanza della legalità e della correttezza all’interno delle Istituzioni. Ma la sua lotta alle collusioni politico-criminali non si limitò ad una pura esibizione di retorica antimafiosa. No, Mattarella andò oltre: continuò a denunciare le irregolarità che poteva constatare e fece pulizia all’interno del partito e nel Consiglio regionale.

Aveva incarnato, per un attimo e con gesti che dovrebbero essere normali e doverosi da parte di un rappresentante delle Istituzioni, il sogno di quei Siciliani che pretendevano di vivere in una terra migliore ed incontaminata e credo che avrebbe potuto benissimo rappresentare la bandiera portata in alto da quei tanti giovani armati di coraggio e speranza che oggi resistono a questo sistema corrotto al grido di “fuori la mafia dallo Stato!”. Un grido che ci ricorderà per sempre la sua instancabile voglia di spendersi per una Sicilia migliore. Era un uomo speciale, Piersanti Mattarella. E un politico di quelli che non ne nascono più. Forse lo capì più in fretta Cosa nostra, che gli tolse la vita, in via della Libertà, il giorno dell’Epifania di trentuno anni fa. E tolse alla Sicilia un’altra speranza di cambiamento.
Serena Verrecchia

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