sabato 5 gennaio 2013

5 Gennaio 1984
Giuseppe Fava detto Pippo 59 anni, giornalista

Giuseppe Fava detto Pippo (Palazzolo Acreide, 15 settembre 1925 – Catania, 5 gennaio 1984) è stato uno scrittore, giornalista e drammaturgo italiano, oltre che saggista e sceneggiatore.
Fu un personaggio carismatico, apprezzato dai propri collaboratori per la professionalità e il modo di vivere semplice. È stato direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani, secondo giornale antimafia in Sicilia. Il film Palermo or Wolfsburg, di cui ha curato la sceneggiatura, ha vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1980. È stato ucciso nel gennaio 1984 e per quel delitto sono stati condannati alcuni membri del clan mafioso dei Santapaola. È stato il secondo intellettuale ad essere ucciso da Cosa nostra dopo Giuseppe Impastato (9 maggio 1978). È il padre del giornalista e politico Claudio Fava.
Alle ore 22 del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio e stava andando a prendere la nipote che recitava in Pensaci, Giacomino! al Teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu freddato da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca.
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"Chi non si ribella al dolore umano, non è innocente", diceva Pippo Fava. Parole sacrosante che, se rivolte ad un popolo disinteressato e spesso omertoso come quello italiano e, ancor di più, quello siciliano, pesano come un macigno. Sì, perché, per consuetudine propria di questo Paese, l'Italiano, quando all'estero gli cuciono addosso l'etichetta del mafioso, del criminale, pensa di poter accantonare il tutto con uno sbrigativo "purtroppo in Italia abbiamo la mafia, la camorra, la 'ndrangheta, uno dei più pericolosi sistemi criminali al mondo insomma, ma io non sono uno di loro, io ho altro a cui pensare, questi non sono problemi miei". E invece no. Chi accetta nel silenzio il rafforzarsi dei poteri criminali, il loro lento instaurarsi nei grovigli più inconcepibili e inarrivabili della società e delle Istituzioni, chi si arrende al predominio della presenza mafiosa in tutti i settori imprenditoriali, politici, finanziari ed amministrativi del Paese, è uno di loro. Un complice silenzioso, uno che non incapperà facilmente in asperità e seccature, ma pur sempre un complice. Chi non si ribella al dolore umano e al vassallaggio nei confronti della mafia, in sintesi, non è innocente. Vittima innocente era invece Pippo Fava, giornalista siciliano ucciso da Cosa nostra il 5 gennaio 1984, ventisette anni fa. Anche se poi tanto innocente Pippo non lo era stato. Non lo era stato perché, di uova nel paniere alla mafia ne aveva rotte, e tante.


Nato a Palazzolo Acreide il 15 settembre 1925, Pippo si trasferì presto a Catania, dove stazionò per brevi periodi di tempo, dedicandosi totalmente al proprio lavoro, che lo costrinse a viaggiare da un versante all'altro della Sicilia, alla ricerca della Verità. Si laureò in giurisprudenza, ma, divenuto giornalista professionista, iniziò a collaborare con alcune testate regionali e nazionali. Pippo Fava amava raccontare la verità. Le violenze della mafia, le infiltrazioni all'interno delle Istituzioni, le collusioni tra malaffare, politica ed imprenditoria; ma anche la realtà siciliana di per sé, le sfaccettature del vivere quotidiano del suo popolo, le condizioni sociali in cui era riversato. Fu scrittore, drammaturgo e sceneggiatore oltre che giornalista. C'è anche il suo nome infatti nei titoli di coda del film "Palermo or Wolfsburg", vincitore dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino del 1980.

Fu caporedattore dell'Espresso sera, successivamente direttore responsabile del Giornale del Sud, quotidiano che conquistò in breve tempo il titolo di difensor Iustitiae Libertatisque, difensore della Giustizia e della Libertà, perseguite attraverso la ricerca costante della Verità. Pippo Fava basava il proprio lavoro di giornalista su principi etici e morali e, difatti, lo disse anche lui stesso: " Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell'ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo." Nonostante i buoni risultati ottenuti in veste di direttore del Giornale, dai piani alti lo licenziarono, sia perché si oppose all'installazione di una base missilistica a Cosimo, sia per la sua avversione nei confronti dei "novelli imprenditori" approdati in redazione, tra i quali Gaetano Graci e Salvatore Lo Turco, di cui si scoprirono in seguito i rapporti con i boss del clan Santapaola. Nel 1982, con pochi giovani e volenterosi, fondò il mensile "I Siciliani", da dove continuò imperterrito le sue denunce, pur conscio del destino cui andava incontro: "Qualche volta mi devi spiegare chi ce lo fa fare, per dio! Tanto, lo sai come finisce una volta o l’altra: mezzo milione a un ragazzotto qualunque e quello ti aspetta sotto casa... ". Metteva a nudo la Verità sulle pagine del suo giornale. Elencava i delitti e i crimini di cui si macchiavano gli uomini d'onore di Cosa nostra, imputava alla politica e all'imprenditoria stretti legami con il malaffare, come, ad esempio, quello che intrattenevano i "cavalieri dell'Apocalisse" con Nitto Santapaola. Si trattava dei quattro imprenditori più famosi di Catania e, forse, dell'intera isola: Graci, Costanzo, Finocchiaro e Rondo, dei loro loschi affari e degli stretti rapporti che avevano con gli ambienti criminali. Poi, però, improvvisamente tutto finì, una sera di gennaio del 1984, quando arrivò il ragazzotto con il mezzo milione in tasca. O forse anche meno. Sta di fatto che lo freddò con cinque colpi di pistola alla testa, mentre scendeva dalla sua auto per andare a prendere la nipote che recitava al teatro. Come da copione, iniziarono immediatamente i depistaggi, gli inquirenti cercarono di liquidare tutto con il solito movente del delitto passionale, ma, dopo anni in attesa di Giustizia, sono stati condannati definitivamente per l'omicidio Fava, Benedetto Santapaola, come mandante, e Aldo Ercolano e Maurizio Avola, come esecutori materiali.

Con Pippo Fava, il giornalismo ha assaporato per un attimo quella Libertà che consente di sentirsi vivi, quella Libertà che porta alla ricerca insistente e tenace della Verità, affinché l'opinione pubblica possa uscire da quello stato di oblio che la costringe a girarsi dall'altra parte e possa finalmente dare una scossa alle proprie coscienze. Con Pippo Fava, il giornalismo ha conquistato quella Libertà che gli spetta di diritto per metterla al servizio della Giustizia. Pippo Fava era un giornalista libero, la cui storia e la cui passione non dovrebbero esimerci dal nostro compito civile e morale di continua ricerca e perseguimento della Giustizia e della Verità.

Grazie Pippo, perché hai vissuto da uomo libero in uno Stato schiavo.
Serena Verrecchia

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