giovedì 28 febbraio 2013

29 Febbraio 1920
Nicolò Alongi 57 anni contadino, socialista

Nicola Alongi, dirigente del movimento contadino prizzese dai Fasci siciliani al biennio rosso e martire socialista, nasce a Prizzi il 22 gennaio 1863. Entra nell’agone politico e sindacale nel 1893 seguendo il leader del Fascio di Corleone Bernardino Verro e partecipando alla costituzione del Fascio di Prizzi assieme a Giuseppe Marò. Ma è alla ripresa delle lotte contadine d’inizio Novecento, in occasione dello sciopero agrario del 1901, che egli assume la direzione del movimento. All’impegno politico unisce quello intellettuale leggendo da contadino appena alfabetizzato i classici del socialismo e diventando corrispondente locale di diversi giornali stampati a Palermo, da “La Battaglia” a “Il Germe”, “L’Avanguardia sindacale”, “L’Avanguardia proletaria”, “La Riscossa Socialista”, “La Dittatura del Proletariato”. Nel primo dopoguerra realizza sul campo assieme a Giovanni Orcel, segretario della Camera del Lavoro di Palermo quell’unità di classe fra operai e contadini teorizzata da Antonio Gramsci. La mafia agraria locale e i suoi padrini politici cercano di fermarlo con le minacce e con l’uccisione del suo collaboratore Giuseppe Rumore. Ma quell’uomo di grande fede e coraggio, che aveva chiamato tre dei suoi figli Idea, Libero pensiero e Ribelle, decidono di eliminarlo uccidendolo il 29 febbraio 1920.
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Nicola Alongi fu assassinato la sera del 29 febbraio 1920, mentre si stava recando nella sede della "Lega di Miglioramento", in via Umberto I, per tenervi una riunione. Era quasi arrivato a destinazione, quando una fucilata, seguita immediatamente da altre due, lo colpì al fianco e al petto, facendolo stramazzare per terra. Alcuni soci della Lega, arrivati subito dopo gli spari, lo trasportarono immediatamente nella casa di Nicolò Provenzano e chiamarono un medico, il quale non poté che constatarne la morte. Alongi aveva appena compiuto 57 anni. Com’era usuale in quegli anni, le indagini per individuare esecutori e mandanti del delitto non approdarono a nulla. Nell’immediato, tanto per far volare gli stracci, furono arrestati i gabelloti Gristina, D’Angelo, Mancuso, Costa e Pecoraro, indicati come mandanti dell’omicidio di Alongi, e i campieri Luigi Campagna e Matteo Vallone, sospettati di essere stati gli esecutori materiali. Ma ben presto tutti tornarono in libertà. Si tratta di cognomi "pesanti" di cui ancora oggi a Prizzi non si parla volentieri. E se ne parla ancora meno, dopo una casuale scoperta del giornalista de "L’Ora" Marcello Cimino, che nel 1971, ricostruendo le origini del Partito comunista in Sicilia, venne a conoscenza del nome di almeno uno dei mandanti dell’omicidio Alongi: don "Sisì" Silvestre Gristina, all’epoca influente capomafia di Prizzi. Don "Sisì" morì accoltellato a Palermo la sera del 23 gennaio 1921, ma non fu un regolamento di conti all’interno di Cosa Nostra siciliana. Ad ucciderlo furono alcuni compagni di Giovanni Orcel, capo degli operai metalmeccanici della Cgil di Palermo, assassinato dalla mafia la sera del 14 ottobre 1920. Questi avevano saputo che era stato lui ad ordinare gli omicidi sia di Orcel che di Alongi, avevano constatato l’incapacità e la scarsa volontà della polizia e della magistratura dell’epoca di venire a capo dei due terribili fatti di sangue, e allora decisero di vendicare i due compagni con un atto di "disperata giustizia proletaria", scrive il prof. Marino. Probabilmente, tutto questo a Prizzi lo si sapeva da tempo. Per questo, solo raramente in 87 anni si è squarciato il velo del silenzio sull’omicidio Alongi e sulle successive tragiche vicende. "So che si congiura contro di me, che si vuole attentare alla mia vita - disse Nicolò Alongi ai suoi compagni palermitani qualche settimana prima di essere ucciso - non so se domani potrò tornare ad abbracciarvi, ma sono sicuro che altri sorgerà a sventolare la bandiera che mi si vuole strappare di mano". E, qualche settimana dopo, durante la commemorazione alla Camera, il deputato socialista Vincenzo Vacirca accusò il governo dell’epoca di dare alla mafia "la sensazione e la coscienza" che "si può uccidere i socialisti perché la polizia e la giustizia sono cieche”.
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L’ALLEANZA FRA I BRACCIANTI E GLI OPERAI
«Finché gli operai della città non fan causa comune con i lavoratori dei campi verso la diritta via del socialismo, i politicanti di mestiere saranno sempre i difensori della borghesia a danno del proletariato che gli è servito di sgabello inconsciamente», scrisse Nicola Alongi su "La riscossa socialista" del 5 febbraio 1919. E non fu un concetto buttato lì per caso, ma una precisa strategia politico-sindacale, alla quale si dedicò con grande impegno, insieme a Giovanni Orcel, capo degli operai metalmeccanici della Cgil di Palermo, col quale aveva una forte intesa
politica ed umana. "E nacque così, per la prima volta in Sicilia, e forse in Italia, l’alleanza operai-contadini", sostiene lo storico Carlo Marino, anticipatrice di quella che sarebbe stata, qualche anno dopo, una delle più famose teorie di Antonio Gramsci. La fase decisiva di questa strategia esplose nell’intreccio tra il grande sciopero contadino, promosso da Alongi nell’autunno 1919, e gli scontri a Palermo tra i socialisti sulla linea politica da seguire in vista delle elezioni politiche che si sarebbero svolte il 16 novembre. I contadini di Prizzi e della zona del Corleonese, col decisivo sostegno dato ad Alongi dai dirigenti corleonesi Vincenzo Schillaci e Luciano Rizzotto, diedero inizio allo sciopero il 31 agosto, rivendicando non solo il miglioramento dei salari, ma una legislazione radicale che portasse alla riforma agraria. Da Palermo, Giovanni Orcel, insieme al gruppo dei socialisti "massimalisti", sostenne questa posizione, organizzando un comizio cittadino "per tenere viva l’agitazione dei contadini in Sicilia", fino "all’esproprio dei terreni". Fu la rottura con i dirigenti riformisti della Cgil, come Aurelio
Drago e Vincenzo Raja, "scandalizzati" dalla piega "rivoluzionaria" presa dalle lotte contadine. Lo sciopero contadino indusse il governo Nitti a varare il decreto Visocchi sulle terre incolte del 2 settembre. Per gli agrari e i gabelloti mafiosi non c’era più tempo da perdere: dovevano passare all’offensiva per abbattere il "pericolo rosso". A Prizzi, la cricca dei D’Angelo e Gristina individuò il primo obiettivo in Giuseppe Rumore, segretario della "Lega di miglioramento", amico e allievo di Alongi. Rumore fu ucciso la sera del 22 settembre 1919, "con due colpi di fucile mentre stava per aprire la porta di casa sua". Alongi, pur considerandosi già "un morto in licenza", non modificò di una virgola il programma di occupazione delle terre per il quale si era immolato Rumore. E, come sappiamo, cadde anche lui la sera del 29 febbraio 1920. "Il martirio di Alongi commosse l’intera Italia democratica - scrive Carlo Marino - e scosse profondamente la Palermo operaia di Orcel", che il successivo 3 marzo organizzò una grande manifestazione in piazza Castelnuovo. La denuncia non si limitò ad indicare i notabili della borghesia locale, ma puntò in alto, fino a personaggi del calibro di Finocchiaro Aprile e Vittorio Emanuele Orlando, indicati come "i responsabili primi e maggiori del perpetuarsi della mafia". A Prizzi furono arrestati i gabelloti Gristina, D’Angelo, Mancuso, Costa e Pecoraro, indicati come mandanti dell.omicidio di Alongi, e i campieri Luigi Campagna e Matteo Vallone, sospettati di essere stati gli esecutori materiali. Ma ben presto tutti tornarono in libertà, mentre anche per Giovanni Orcel si avvicinava l’ultima ora, che sarebbe arrivata la sera del 14 ottobre 1920, quando venne accoltellato a Palermo da un killer in corso Vittorio Emanuele, all’angolo di via Giusino.
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mercoledì 27 febbraio 2013

27 Febbraio 1989
Pietro Polara 45 anni, commerciante

Pietro Polara (2 luglio 1943 Gela – 27 febbraio 1989). Nasce a Gela, in provincia di Caltanissetta. E’ stato un commerciante di Macchine Agricole dal 1963, nel 1985 dichiarato cavaliere del Lavoro dalla Bertolini come lavoro svolto brillantemente in 20 anni di attività. Interessato alla politica si candida per ben due volte al Partito Democratico Cristiano nel 1988. Professionista amato e stimato da tutti e molto altruista. Un padre stupendo e un marito ammirevole – lo ricordano i familiari. Ucciso nel quartiere residenziale di Macchitella a Gela il 27 febbraio del 1989, in seguito ad una sparatoria legata ad una vendetta trasversale.
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27 Febbraio 1985
Pietro Patti 47 anni, imprenditore

PALERMO - "Non faccia il furbo, ingegnere. Non ha scampo: deve pagare mezzo miliardo. E ricordi, le abbiamo distrutto capannone e macchina, ma questa volta le faremo saltare il cervello". Pietro Patti, quarantasette anni, proprietario di un' industria alimentare, non voleva crederci. "Pensava che non avrebbero mai osato tanto", ha raccontato la moglie Angela Pizzolo ai funzionari della squadra mobile. E invece la mafia dell' estorsione ha mantenuto la promessa. Ha ucciso senza pietà "un industriale che aveva cercato di fare di testa propria osando trattare sul prezzo imposto dal racket". Ha ucciso con ferocia inusitata colpendo Pietro Patti davanti agli occhi terrorizzati delle sue quattro figlie (una è rimasta gravemente ferita ma forse si salverà) e lanciando un monito a quanti speravano di poter sganciare le loro imprese dai controlli dalle "protezioni" di Cosa nostra, utilizzando il momento di sbandamento degli uomini della piovra mafiosa. E così, a cinque giorni appena dall' assassinio dell' ingegnere Roberto Parisi, presidente della Palermo calcio, titolare di una finanziaria che controlla sei società e vicepresidente della Sicindustria, la mafia si è ripetuta. Pietro Patti come ogni mattina aveva lasciato la sua villa che guarda il mare di Mondello per accompagnare a scuola in via Marchese Ugo nel cuore della Palermo bene le quattro figlie: Francesca, sei anni, Gaia, nove anni, Raffaella, quattordici anni e Alessandra diciassette anni. Ha avuto appena il tempo di spegnere il motore della 127 e un giovane killer gli ha puntato una calibro 38 alla tempia, premendo tre volte il grilletto. Una pallottola ha attraversato la testa dell' industriale, si è conficcata nel torace di Gaia che stava aprendo lo sportello per scendere e varcare l' ingresso dell' Istituto Ancelle, uno dei più esclusivi della città. Sono stati momenti drammatici. Pietro Patti è rimasto incollato al sedile della vettura con il capo reclinato indietro, mentre il killer faceva pochi metri, saltava su uno scooter guidato da un complice che lo attendeva con il motore acceso, facendo perdere ogni traccia. Pochi minuti e il portone delle Ancelle si è aperto. Il custode ha fatto scendere dall' auto le figlie dell' industriale, ma Gaia aveva gli occhi vitrei, non si reggeva in piedi, perdeva sangue. E' stata soccorsa e trasportata all' ospedale Villa Sofia dove è stata sottoposta immediatamente ad intervento chirurgico. La pallottola aveva mandato in frantumi la sesta costola e le schegge avevano leso il polmone. Adesso è in rianimazione, ha ripreso conoscenza e i medici sperano di salvarla. Le indagini sono apparse immediatamente difficili. In cinque giorni gli investigatori si sono ritrovati tra le mani i cadaveri di due imprenditori morti probabilmente perchè avevano tentato di sottrarsi con modalità ed obiettivi differenti, alle imposizioni di Cosa nostra. Gli inquirenti, grazie anche alla testimonianza della moglie Angela Pizzolo, hanno stabilito un legame di affari tra Parisi e Patti. Il punto di contatto era la costituzione di una società per la creazione di uno stabilimento nella zona di Brancaccio, ad est della città, dove Patti già possedeva i suoi impianti per la lavorazione della frutta secca (mandorle, nocciole, pistacchi da spedire in tutto il mondo). Le trattative erano in corso e adesso polizia, carabinieri e magistratura stanno verificando se possa ipotizzarsi un legame più stretto tra i due omicidi. La pista più convincente però appare quella del racket delle estorsioni. Gli industriali che operano a Brancaccio da sempre fanno i conti con la mafia del "pizzo", pagando tangenti sempre più esose. Angela Pizzolo ha ricostruito assieme ai funzionari della Squadra mobile le prime richieste arrivate nell' estate del 1982 quando la mafia di corso dei Mille decise di aprire una vera e propria "sottoscrizione" tra gli imprenditori della zona. Mediamente la richiesta si aggirava attorno al mezzo miliardo. In molti hanno pagato, ma l' ingegnere Pietro Patti si era sempre rifiutato di cedere alle pressioni mafiose. Ed era andato oltre: aveva presentato denuncia contro ignoti per i ripetuti tentativi di estorsione e nel 1983 aveva anche raccontato tutto ai magistrati. Poi, però, aveva ritirato l' esposto. Nel frattempo l' industriale aveva cercato di ridurre il prezzo della tangente, ma erano arrivati i primi segnali inquietanti: una bomba aveva devastato i capannoni dove viene lavorata la frutta secca, poi proprio sotto gli occhi dell' imprenditore la mafia aveva fatto saltare per aria la sua jeep Toyota. "Sapevamo di essere nel mirino", ha raccontato Angela Pizzolo agli investigatori. "Io guardavo sempre intorno, notavo le automobili che ci seguivano, le facce strane che misteriosamente incontravamo più volte in vari punti della città nella stessa giornata. Ma Pietro diceva che non bisognava perdere la calma. Evidentemente sbagliava". Adesso a Palermo c' è chi teme che questo sia l' inizio di una nuova spirale di violenza destinata a ristabilire le vecchie regole del gioco imposte dalla mafia e incrinate dai recenti successi delle forze di polizia e della magistratura. Gli industriali erano stati tra i primi a voler tentare strade coraggiose sganciandosi dalla vecchia logica del "pizzo" e delle tangenti. E sono stati immediatamente colpiti. "Adesso gli imprenditori siciliani e palermitani vivono questi tragici avvenimenti nello sgomento e nell' incertezza", dice Salvino Lagumina, presidente della Sicindustria. "Sono il segnale del precipitare della situazione nonostante la maggior presenza dello Stato al quale però va chiesto un impegno straordinario per garantire che i cittadini possano vivere e lavorare liberamente". - di GIUSEPPE CERASA
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martedì 26 febbraio 2013

26 Febbraio 1995
Francesco Brugnano 59 anni, titolare di una cantina vinicola

Nelle vicinanze di Terrasini (Palermo) ritrovato il corpo di Francesco Brugnano, titolare di una cantina vinicola di Partinico, confidente del maresciallo dei carabinieri Antonino Lombardo.

lunedì 25 febbraio 2013

25 Febbraio 1997
Giulio Giuseppe Castellino 54 anni, politico

E’ stato un politico italiano, vittima di mafia. Laureatosi in Medicina e Chirurgia all’Università di Catania, durante il servizio militare partì volontario come medico nell’isola di Linosa. Eletto consigliere comunale già a 19 anni, in seguito divenne assessore diverse volte. Fu anche Ufficiale Sanitario del comune di Palma di Montechiaro per circa 20 anni Nel 1995 divenne Capo Servizio dell’Igiene Pubblica della Provincia di Agrigento, incarico che ricoprì per due anni fino all’agguato. Durante tale incarico furono molte le sue prese di posizione importanti, a volte impopolari, tra le quali la chiusura del mercato ortofrutticolo di Agrigento. Castellini promosse anche diverse iniziative di interesse sociale come una campagna di prevenzione, la prima in questo senso, presso l’accampamento degli zingari in contrada “Gasena” ad Agrigento dove, coinvolgendo alcuni sanitari e la Croce Rossa Italiana, portò medicine e indumenti ed iniziò la vaccinazione rivolgendola a tutti gli occupanti. La sua attenzione verso i più deboli, si svolgeva puntualmente ogni anno, quando, dopo aver raccolto scatole di farmaci le inviava o a volte le portava direttamente in alcuni paesi sottosviluppati. Il suo carattere forte, sincero e libero lo portava spesso ad avere scontri dialettici e formali con chi dirigeva la sanità agrigentina. Secondo Castellino, chi aveva dei riferimenti politici riusciva a vincere i concorsi, a ricoprire cariche sanitarie importanti, che andavano a condizionare i programmi a discapito della collettività. Cominciò quindi in quel periodo una mirata e circostanziata denuncia di tutti quegli atti ritenuti illegittimi, inviando la documentazione raccolta alla procura di Agrigento. In alcune occasioni affrontò direttamente i politici agrigentini che avevano avallato alcune nomine. Fu protagonista con l’ausilio dell’arma dei carabinieri di un blitz all’ospedale di Licata per combattere il fenomeno dell’assenteismo. Fu protagonista anche di un blitz al mercato ortofrutticolo di Agrigento dove, riscontrando serie e continue inadempienze, chiese ed ottenne la sospensione dell’attività, attirandosi il disappunto degli agricoltori e di altri operatori del settore. Giulio Castellino morì a seguito di un attentato di stampo mafioso avvenuto il 12 febbraio 1997 in contrada “Mosella”, ad Agrigento. Il movente dell’omicidio è tuttora ignoto, ma l’opinione pubblica e parte delle istituzioni lo considerano un omicidio di mafia, visto il carattere di Castellino, a volte duro, ma sempre integerrimo e ossequioso delle leggi dello Stato.
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giovedì 21 febbraio 2013

21 Febbraio 1981
Vincenzo Mulé 12 anni
Domenico Francavilla
Mariano Virone

Il 21 febbraio del 1981 lungo il fiume Platani, in territorio di Alessandria della Rocca nell’Agrigentino ci fu un sanguinoso agguato di Cosa Nostra.
Le vittime, che si trovavano su un trattore quando i killer entrarono in azione, furono Liborio Terrasi, Domenico Francavilla, Mariano Virone e Vincenzo Mulé. Quest’ultimo, appena dodicenne, si trovò per caso in compagnia delle altre tre vittime, alle quali aveva chiesto un passaggio sul trattore per attraversare il fiume.
Obiettivo dei killer era Liborio Terrasi, ritenuto il capo mafia di Cattolica Eraclea, entrato in conflitto con il boss di Ribera Carmelo Colletti, poi anche lui assassinato. Per il quadruplice omicidio e stato già condannato al carcere a vita Totò Riina, che diede il proprio assenso al delitto.
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martedì 19 febbraio 2013

19 Febbraio 1921
Pietro Ponzo contadino, socialista

Nelle campagne di Salemi (Trapani) ucciso il contadino socialista Pietro Ponzo. Impegnato nelle lotte contadine fin dai Fasci siciliani, presidente della Cooperativa Agricola di Salemi. Negli anni 1919-1920 partecipa alle manifestazioni e alle occupazioni delle terre per l'assegnazione dei latifondi.

sabato 16 febbraio 2013

16 Febbraio 1922
Antonino Scuderi 35 anni, contadino, consigliere comunale socialista

Antonino Scuderi, contadino trentacinquenne, consigliere comunale socialista, da pochi mesi segretario della cooperativa agricola di Paceco, fu ucciso in un agguato mentre tornava a Dattilo in bicicletta. Era il 16 febbraio del '22. In quell'epoca, scrive Pietro Grammatico, «la morte di un socialista non valeva il fastidio di eseguire delle indagini per accertare le cause della soppressione violenta».
Nessuno di noi ha conosciuto Scuderi; le scarne notizie biografiche su di lui sfumano nebbiose nel mito. Scuderi è un archetipo; è il calore delle lotte contadine; è l'epopea degli oppressi; la tensione etica verso un mondo migliore, di pace, di giustizia, di libertà, di benessere, verso l'utopia del "sol dell'avvenire".
Scuderi è uno dei tanti agnelli sacrificali che gli agrari, i fascisti e i mafiosi, hanno preteso fra il 1920 e il 1924; soltanto un mese prima, il 16 Gennaio del '22, Paceco aveva pagato un altro terribile tributo di sangue con l'assassinio di Domenico Spatola e dei figli poco più che ventenni, Mario e Pietro Paolo, del dirigente socialista Giacomo Spatola.
Scuderi non aveva particolari velleità; era un contadino con le scarpe grosse e il cervello fino, un uomo che amava la vita, la famiglia, gli amici e il paese. Come molti altri, si è speso per migliorare la propria condizione e quella della sua gente ma non aveva in programma di fare l'eroe; aspirava soltanto, come molti altri, a diventare pacificamente padrone delle proprie braccia, del proprio pezzetto di terra, del proprio lavoro.
Scuderi è uno, uno dei tanti, uno dei più sfortunati, uno che emancipa faticosamente se stesso divenendo dirigente politico locale e che, insieme ad altri, dà voce, speranza e forma politica ai sentimenti, alla sofferenza atavica e alle utopie della sua gente. Per questo, il monumento a Scuderi non raffigura il suo volto ma l'ansia corale di riscatto che è emersa dalle viscere di Dattilo, di Paceco, della Sicilia.
Nessuno di noi ha conosciuto Scuderi, dicevo, ma l'eco della sua breve vita persiste; è arrivata fino a noi ed andrà oltre perché egli ha espresso i valori che ciascuno di noi vorrebbe esprimere. Consacrare le utopie ed i valori che Scuderi e la sua gente hanno espresso è utile e necessario, come monito per tutti, come termine di paragone per consentire a ciascuno di noi di non disancarare le proprie azioni dal territorio, dai sentimenti, dai valori alti e dalle utopie della propria gente.
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mercoledì 13 febbraio 2013

13 Febbraio 1947
Nunzio Sansone sindacalista

Il sindacalista Nunzio Sansone venne ucciso il 13 febbraio 1946 a Villabate (Palermo).