sabato 26 gennaio 2013

26 Gennaio 1979
Mario Francese 55 anni, giornalista

Mario Francese (Siracusa, 6 febbraio 1925 – Palermo, 26 gennaio 1979) è stato un giornalista italiano, assassinato dalla mafia.
Francese iniziò la carriera come telescriventista dell’ANSA, successivamente passò a giornalista e scrisse per il quotidiano “La Sicilia” di Catania. Di simpatie monarchiche, nel 1958 viene assunto all’ufficio stampa dell’assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Siciliana. Nel frattempo intraprese la collaborazione con “Il Giornale di Sicilia” di Palermo. Nel 1968 si licenzia dall’ufficio stampa per lavorare a pieno nel giornale dove si occupa della cronaca giudiziaria entrando in contatto con gli scottanti temi del fenomeno mafioso.
Divenuto giornalista professionista si occupò della strage di Ciaculli, del processo ai corleonesi del 1969 a Bari, dell’omicidio del colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo e fu l’unico giornalista a intervistare la moglie di Totò Riina, Antonietta Bagarella. Nelle sue inchieste entrò profondamente nella analisi dell’organizzazione mafiosa, delle sue spaccature, delle famiglie e dei capi specie del corleonese legato a Luciano Liggio e Totò Riina. Fu un fervente sostenitore dell’ipotesi che quello di Cosimo Cristina fosse un assassinio di mafia. La sera del 26 gennaio 1979 venne assassinato a Palermo, davanti casa.
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Il coraggio della verità pagato con la vita". Questa frase è incisa nel marmo di una tomba, la tomba di un giornalista siciliano che fu ucciso da Cosa nostra perché reputato troppo bravo e troppo attaccato al suo mestiere. Quel giornalista era Mario Francese, una delle penne più stimate e temute dell'intera Sicilia. Si era occupato per quasi tutta la sua vita di cronaca giudiziaria; il fenomeno della mafia lo aveva inglobato in un mare di indagini, i cui risvolti precedevano quelli di poliziotti e magistrati e che lo portarono a delineare i contorni dell'organizzazione criminale isolana: famiglie, mandamenti, boss e fazioni contrapposte, tutto in un'epoca in cui i pentiti non erano ancora usciti allo scoperto spifferando le norme che regolavano l'interno del sistema di Cosa nostra. Mario Francese si affacciò al mondo del giornalismo quando entrò come telescriventista all'agenzia dell'Ansa e fece carriera come inviato de "La Sicilia" per poi approdare alla redazione del Giornale di Sicilia, grazie al quale la sua divenne una firma infuocata. Mise il naso in tutte le questioni di mafia, dalla strage di Ciaculli all'omicidio del colonnello Giuseppe Russo, si occupò della zona grigia che intersecava interessi criminali, mafiosi e affaristici, fu il primo ad intuire che il "viddano" Totò Riina avrebbe stravolto il sistema stesso dell'organizzazione mafiosa e avrebbe dato inizio ad una nuova era di predominio criminale; fu anche il primo ad intervistare la moglie del capo dei capi, Antonietta Bagarella.

Il lavoro di giornalista era iniziato per esigenze economiche e perché, già nel trasferirsi da Siracusa a Palermo a soli quindici anni, Mario aveva dimostrato di essere un ragazzo che seguiva l'istinto ed inseguiva i propri sogni. Poi la passione ebbe il sopravvento sulle esigenze economiche e le indagini, le inchieste, le righe stampate sui fogli di un quotidiano, divennero la sua ragione di vita, insieme alla famiglia, che aveva costruito con amore e dolcezza al fianco di Maria Sagona, con la quale ebbe quattro figli. Intrepido e coraggioso, non sembrava aver paura della morte, non percepiva forse il rischio che correva ogni volta che un suo articolo veniva stampato sulle pagine del giornale. Neppure l'infarto lo aveva fermato. Quando fu colto dal malore, i medici lo trattennero giustamente in ospedale, ma lui scappò via per raggiungere la redazione. Un'altra volta invece, mentre passeggiava per piazza Caracciolo, fu testimone dell'omicidio di tre persone e, annullando totalmente il luogo comune che vede i Siciliani come un popolo omertoso, si diede all'inseguimento dei killer, nonostante egli stesso si fosse messo in salvo per miracolo. Il pericolo non lo spaventava. Si occupò di uno dei casi più scottanti dell'epoca, la costruzione della diga Garcia, il più grande affare del secolo per i clan di Cosa nostra. Raccattava informatori ovunque, descriveva collegamenti delinquenziali con puntigliosa attenzione, compariva come per magia su tutti i luoghi degli assassinii e, alla sera, quando tornava in redazione, aveva sempre una news scottante pronta alla stampa.

Il 26 gennaio del 1979, dopo aver parcheggiato l'auto in corso Campania, a pochi metri dal portone di casa sua, fu raggiunto da quattro colpi di pistola alla nuca. La moglie e i quattro figli furono distrutti dalla notizia, uno di loro in particolare, Giuseppe, anni dopo sarebbe morto suicida, perché, ha raccontato il fratello Giulio "si è fatto male cercando la verità sulla morte del padre". Per l'omicidio Francese è stata condannata l'intera cupola di Cosa nostra e Leoluca Bagarella come esecutore materiale.
Simona Verrecchia

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