lunedì 26 dicembre 2011

Postilla su un'ennesima debolezza strutturale delle dittature (e stavolta ci metto dentro anche il fascismo) rispetto alle democrazie.

Poiché in una dittatura il popolo non ha voce in capitolo nelle scelte governative, né direttamente né tramite rappresentanti, ne deriva da ciò una situazione di deresponsabilizzazione politica.

Molto semplicemente, il popolo non si ritiene responsabile di quanto il governo fa. Se il governo fa bene, tutti son felici. Ma se fa male, perché si dovrebbe pagare per scelte nelle quali non si ha avuto parte?

E' per questo che in una dittatura "seria" vengono fatti sforzi enormi per creare consenso. Perché si cerca di sostituire la responsabilizzazione individuale con un'esaltazione collettiva e artificiale, quasi sempre con risultati non paragonabili.

In Italia il regime ottenne, su questo fronte, risultati veramente disastrosi. Con tutte le sue chiacchere sugli otto milioni di baionette, Italia portaerei inaffondabile sul Mediterraneo, 100 divisioni e passa, la flotta sottomarina più grande del mondo...
con tutto questo, la produzione bellica annua italiana nel 1940-1943 fu inferiore a quella del 15-18.
Il paese non si mobilitò, non ci fu nessuna scossa nazionale dopo le sconfitte che fosse minimamente paragonabile a Caporetto.

La sconfitta politica del fascismo in questo campo è totale. E' non è dovuta, come potrebbe pensare un neofascista, a qualche traditore o ai nostri vizi nazionali; perché gli italiani, quando pensano di doverlo fare, combattono e pure bene. Lo dico senza far retorica, e pensando che le guerre siano cose schifose in cui si vede il peggio delle persone più che il meglio.

Ma il crollo psicologico del popolo italiano nella seconda guerra mondiale nasceva direttamente dalla presenza di una dittatura al governo. Bocciati anche in guerra, loro che tanto la cercavano!
La cosa che più sorprende chi studia i meccanismi repressivi del Terzo Reich, almeno fino al 1942 (quando si capì che poteva finire molto male), furono le loro dimensioni minuscole.

consiglio Hitler e l'enigma del consenso, di Ian Kershaw; storico inglese tra le massime autorità sul Terzo Reichr ed autore di una poderosa biografia del dittatore tedesco.

Kershaw, correttamente, evidenzia che le dittature si fondano su due meccanismi di base: 
* creano consenso
* reprimono il dissenso

Bene, il Terzo Reich fu incredibilmente efficace nel primo settore. E poiché consenso e dissenso sono in proporzione inversa tra loro, la dimensione minimale dell'apparato di sicurezza interna era una conseguenza diretta dell'efficacia dei meccanismi di propaganda. Del resto, si sa, prevenire è meglio che curare.

Mi soffermo quindi sulla fabbrica del consenso:

fine della disoccupazione, fine dei disordini sociali (l'inferno di ogni buon tedesco), ordine e pace sociale in tutto lo stato; benessere crescente, attenzione ai lavoratori - a partire dalle condizioni di lavoro, per finire con le crociere popolari del KdF; fine delle umiliazioni internazionali, riconoscimento della Germania come grande potenza alla pari con le altre.
I tedeschi comuni avevano tutte le ragioni per essere felici e soddisfatti del nuovo corso.
L'opposizione interna - che pure c'era, e non venne mai del tutto eliminata - era costretta a mosse irrisorie come la stampa e distribuzione clandestina di volantini - oltre che al mantenimento di una struttura organizzativa clandestina. Il KPD (comunisti) fece la parte del leone in questi anni, senza però avere alcuna rilevanza nazionale. Pericolosità, zero.

Cominciata la guerra, che i tedeschi - avendo buona memoria - non vedevano affatto bene, la macchina della propaganda perse il senso delle proporzioni, facendo balenare loro una vita da padroni in un continente di schiavi.

Noi italiani, abbastanza scanzonati e disillusi, ci siamo esaltati come scemi davanti ad un impero da canzonetta e alle sue suggestioni coloniali. Ai tedeschi venne promesso molto di più.

L'intera Russia europea, fino agli Urali, come colonia agricola del Reich. Villaggi fortificati vi avrebbero ospitato i coloni tedeschi, mentre nelle campagne, a mo' di servi della gleba, avrebbero vissuto gli slavi.
In tutto il resto dell'Europa sarebbe stato istituito un mercato comune, che vedeva la Germania come nodo focale e massimo beneficiario del sistema. Un complesso meccanismo di redistribuzione delle risorse materiali ed umane avrebbe assicurato ai popoli germanici - in cui sarebbero stati cooptati gli scandinavi, i fiamminghi, e tutte le minoranze di lingua tedesca presenti in Europa - ricchezza e prosperità ineguagliate.

Questi non furono sogni, erano pianificazioni reali, portate avanti con energia da organismi creati ad hoc.

A questo punto, introduco un nuovo elemento di debolezza strutturale del Terzo Reich. La costruzione del consenso e l'efficienza del meccanismo erano tali che la Germania in guerra ne divenne prigioniera.

Mentre in Gran Bretagna vigeva un rigido razionamento, e l'economia civile era retta da donne - gli uomini erano tutti al fronte, in Germania le donne continuavano a fare le casalinghe. Milioni di uomini facevano i postini, commessi, negozianti.
Addirittura, migliaia di ragazze ucraine e bielorusse vennero forzatamente inviate in Germania, a lavorare nelle fattorie ma anche come domestiche nelle case della borghesia tedesca.
La nazione viveva come se avesse già vinto la guerra; il tedesco doveva essere felice del suo regime.

L'abbaglio fu devastante. La sola Gran Bretagna produsse per tutto il conflitto, anno per anno, più aerei della Germania. La produzione di carri sovietica del 1941 era di parecchie volte superiore a quella tedesca, e così via.

Fu solo a fine 1942, davanti al disastro di Stalingrado, che il popolo ed i leader tedeschi capirono - per la prima volta - che la Germania poteva perdere la guerra ed era impegnata in una lotta mortale.
In un travolgente discorso radiofonico Goebbels chiamò a raccolta la nazione, ripetendo il grido della sollevazione del 1813 contro Napoleone: "Che la tempesta si scateni!"
La macchina da guerra della più avanzata economia europea si svegliò, cominciò ad accelerare paurosamente, raddoppiando, triplicando, quadruplicando la produzione industriale nell'arco di un paio d'anni - seppure a scapito della qualità.

Ma era troppo tardi. L'Unione Sovietica era al 100% delle sue capacità industriali da quasi un anno, la Gran Bretagna da almeno tre, gli Stati Uniti stavano da soli producendo più armi che gli altri alleati messi assieme. La guerra era ormai persa.

In patria, la macchina del consenso aveva perso attrattive, e conseguentemente i meccanismi repressivi divennero più pervasivi. Una barzelletta poteva ormai costare la vita.
Il nazismo si era trasformato, anche per i tedeschi, in una cupa macchina repressiva, che martellava slogan disperati come: "non possiamo perdere perché la sconfitta sarebbe disastrosa".

E mentre i bombardieri schiacciavano le città tedesche una dopo l'altra, e sul fronte russo la wehrmacht veniva inesorabilmente dissanguata dall'Armata Rossa, in patria diventava alto tradimento dubitare della vittoria finale.

venerdì 23 dicembre 2011

Nel 1941 un giovane soldato tedesco, Joe Heydecker, cattolico ed antinazista, passò per Varsavia. Contravvenendo agli ordini riuscì a entrare nel Ghetto, dove aveva delle amiche conosciute prima della guerra.

Si pensa che la shoah fu un'esclusiva dei campi di sterminio, ma non fu così. Cominciò nelle città polacche, dove vennero rinchiusi, stretti come topi in gabbia, centinaia di migliaia di persone.
Costringendoli a mangiare verdure marce e carne avariata, negando le medicine, facendoli morire a sciami di fame e di stenti.

I poveri, i vecchi, i deboli, i bambini cedettero per primi.

Heydecker scattò un centinaio di fotografie, che sono giunte fino a noi. Un filo diretto con l'inferno, di questa gente resta solo il negativo.

Eccoli, gli "errori" del nazismo:






A questi inermi possiamo offrire - ormai - solo il ricordo. La promessa che non dimenticheremo.

Queste immagini ed altre sono pubblicate in due libri, il ghetto di Varsavia e La mia guerra,  ambedue reperibili.