sabato 12 gennaio 2013

12 Gennaio 1906
Giuseppe Insalaco 43 anni, politico democristiano

Giuseppe Insalaco (San Giuseppe Jato, 12 ottobre 1941 – Palermo, 12 gennaio 1988) è stato un politico italiano. Fu sindaco di Palermo dal 17 aprile al 13 luglio del 1984. Come politico aveva denunciato, più volte, le collusioni fra mafia e politica. Ascoltato dalla Commissione antimafia il 3 ottobre del 1984 insieme all’allora sindaco in carica Nello Martellucci – sulle ingerenze della mafia nella politica palermitana, denunciò le pressioni subite da Vito Ciancimino e dal suo entourage. Li indicò come i gestori dei grandi appalti al comune di Palermo per conto della mafia. Fu assassinato a colpi di pistola in macchina insieme al suo autista il 12 gennaio 1988. Dopo la sua morte fu trovato un memoriale in cui Insalaco accusava diversi esponenti della Dc palermitana, e il sistema di gestione degli appalti e del potere cittadino. Il quotidiano di Palermo, “L’Ora”lo definì la “scheggia impazzita che sparava dritto contro i suoi nemici e non si rassegnava a tapparsi la bocca” .

Quel 12 gennaio 1988 via Cesareo era un groviglio di automobili. C’era Giuseppe Insalaco al centro del gomitolo. Un uomo morto, ucciso. Lui e il suo autista. Lui e il suo fare politica, da sindaco: il quotidiano “L’Ora” lo avrebbe ricordato come “scheggia impazzita che sparava dritto contro i suoi nemici e non si rassegnava a tapparsi la bocca”. Un politico immerso nella Dc, che lo aveva portato lassù, primo tra i cittadini, ma che non lo aveva reso incapace di resitere a un Vito Ciancimino sempre più pressante. Era un rinnovamento quello che cercava. Così aveva messo mano agli appalti, a quel sistema intoccabile di Palermo, come per il rinnovo degli appalti della Lesca (dal 1938, per la manutenzione di strade e fogne di proprietà dei Cassina) e della Icem (dal 1969 per l’illuminazione pubblica di proprietà dell’ingegnere Roberto Parisi). “Ogni delibera – dichiarò – valeva decine di miliardi”. Per tre mesi occupò la massima poltrona cittadina, fino al 13 luglio del 1984. Quasi quattro anni dopo uccisero lui e le sue verità, contenute nelle dichiarazioni che rilasciò all’Antimafia di Giovanni Falcone nell’ottobre del 1984. Con il giudice parlò di quegli stessi “perversi giochi” che lo avevano costretto “alle dimissioni dopo appena tre mesi”.

“Insalaco forse ha promesso di fare quello che io non ho voluto fare e poi non ha mantenuto le promesse: così lo hanno massacrato. Denunce, lettere anonime. L’hanno lasciato solo. Non ho mai visto un uomo invecchiare così in tre mesi”, disse di lui chi al Comune lo aveva preceduto, la Dc Elda Pucci. Due settimane dopo la sua deposizione qualcuno rubò e appiccò fuoco alla sua auto, poi l’arrivo di un esposto anonimo, l’accusa di corruzione, l’incarcerazione e un processo che non si concluse mai. Furono cinque colpi di pistola a fermargli al vita quel 12 gennaio. Un delitto per il quale solo nel 2001, la Cassazione individuò nei due mafiosi Domenico Ganci e Domenico Guglielmini i responsabili.

Ma c’è chi ancora cerca altri mandanti, chi non riesce ad inquadrare quest’omicidio nella sola matrice mafiosa. Tra coloro che ricordano Giuseppe Insalaco, nei primi giorni dopo la sua morte, c’è chi non lo fa con grandi encomi. Di lui si disse che “era in corso a Palermo un frettoloso processo di beatificazione”, parola dell’avvocato Vito Guarrasi; mentre “inquietante protagonista di quella zona grigia dove mafia e politica vanno a braccetto”, fu la definizione del presidente della Regione Rino Nicolosi. Dopo la sua morte venne ritrovata una raccolta di memorie. Le righe che scrisse svelavano intrecci poltico-affaristico-mafiosi. Troppo tardi, però. Lui era già morto una, due, cento volte. E mai nessuna istituzione si preoccupò più di riaccendere il suo ricordo.
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