sabato 26 gennaio 2013

26 Gennaio 1978
Ugo Triolo 58 anni, avvocato

Era un freddo pomeriggio d’inverno. A Corleone, l’avvocato Ugo Triolo «aveva da qualche minuto comprato due pacchetti di sigarette nel centrale tabaccaio di piazza Garibaldi», avrebbe scritto un giornalista di razza come Mario Francese sul «Giornale di Sicilia» del giorno dopo. «Con al guinzaglio il suo affezionato barboncino nero – proseguiva l’articolo – il professionista, da circa quindici anni vicepretore onorario di Prizzi, ma nato e residente a Corleone, si era avviato lentamente per la via Roma, una strada in salita dove sono ubicati la pretura e il magistrale. Trecento metri percorsi spensieratamente fumando e giocando col suo Bull. Quindi, piazza San Domenico e poi il vicolo Triolo, coperto da un tetto ad arco che sbocca in via Cammarata. Proprio uscendo dal vicolo, al numero 49 di via Cammarata, è la casa dell’avvocato Triolo (…). Il professionista ha avuto il tempo di premere sul bottone del citofono. Ha risposto la moglie. Quindi, all’angolo della strada, a non più di due metri e mezzo, dove si apre la via Rua del Piano (in cui abita il luogotenente di Luciano Liggio, il latitante Totò Riina) qualcuno l’ha chiamato. "Ugo, Ugo…". Il professionista si è voltato , avrà visto qualcuno dinnanzi a lui con una pistola in pugno. Ha avuto il tempo di alzare le mani, come per proteggersi il viso. In quel momento un lugubre rosario di colpi…». Furono nove i colpi di P38 sparati contro l’avvocato Triolo. Solo due andarono a vuoto, gli altri sette lo colpirono al petto e alla testa, uccidendolo. Erano le 17.40 del 26 gennaio 1978. Quando la moglie, col cuore in gola, aprì il portone di casa, il suo corpo rantolante quasi le cadde addosso, facendola urlare dal dolore.
Chi poteva avere interesse ad assassinare - e per giunta in maniera così plateale, con nove colpi di pistola sparatigli in faccia - una persona perbene come l’avvocato Ugo Triolo? Uno che, secondo un altro giornalista di razza come Pippo Fava, «non aveva mai avuto a che fare con interessi criminali, se non per doveri del suo ufficio». Un aiuto per rispondere a questi interrogativi lo diedero i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che, nell’ordinanza sentenza del maxi-processo, trascrissero la dichiarazione di un collaboratore di giustizia ante-litteram, Giuseppe Di Cristina. «Riina Salvatore e Provenzano Bernardo, soprannominati per la loro ferocia "le belve" – dettò a verbale il "pentito" – sono gli elementi più pericolosi di cui dispone Luciano Liggio. Essi, responsabili ciascuno di non meno di quaranta omicidi, sono gli assassini del vice-pretore onorario di Prizzi». A questa si aggiunsero anche le dichiarazioni dei pentiti Francesco Di Carlo e Giovanni Brusca, che indicarono in Riina e Provenzano i mandanti dell’omicidio e in Leoluca Bagarella, Antonino Marchese e Giovanni Vallone il "gruppo di fuoco" che gli tese l’agguato la sera del 26 gennaio 1978. Un delitto, dunque, voluto direttamente dalla "cupola" di Cosa Nostra, saldamente in pugno ai "corleonesi" Riina e Provenzano ed eseguito dai killer più feroci di cui disponevano, in primo luogo quel "Luchino" Bagarella, che di Riina era il cognato. Furono fatte tante ipotesi, ma nessuna è stata mai provata. Si disse, per esempio, che l’avvocato era proprietario di un vasto appezzamento di terra in contrada «San Calogero», che interessava i mafiosi, ma che lui non voleva assolutamente vendere. Il pentito Di Carlo, invece, ha svelato che negli uffici di una società di trasporti di via Leonardo da Vinci a Palermo, un certo Vallone di Prizzi «chiese a Bernardo Provenzano di eliminare Triolo, perché lo aveva ostacolato in alcune vicende collegate a reati edilizi, da lui valutati nella veste di vice pretore (…). Lui è avvocato, dovrebbe fare quello che dice il paesano e no quello che dice la legge». L’ avvocato Triolo - è un’altra ipotesi - fu ucciso 12 giorni dopo Marco Puccio, un suo cliente accusato di abigeato. Forse, è un’ ipotesi degli inquirenti, la vittima si era confidata con il legale? Infine, si disse pure che Triolo aveva svolto con "troppo zelo" il ruolo di pubblico ministero in un processo minore contro Luciano Liggio. Comunque, per oltre vent’anni di Ugo Triolo a Corleone nessuno parlò più. E non c’era nemmeno la certezza che fosse una vittima innocente di mafia.
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