domenica 16 settembre 2012

Mauro De Mauro

16 Settembre 1970
Mauro De Mauro 49 anni, giornalista

Nacque nel 1921 a Foggia, figlio di un chimico e di un’insegnante di matematica. Amante fin da ragazzo delle divise e delle armi, sostenitore convinto del fascismo, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale s’arruolò volontario. Militò nella X Flottiglia MAS del principe Junio Valerio Borghese e, dopo l’8 settembre 1943, aderì alla Repubblica di Salò. Nel 1943-44, nella Roma occupata dai nazifascisti, fu vice questore di Pubblica Sicurezza sotto il questore Caruso, informatore del capitano delle SS Erich Priebke e del colonnello Herbert Kappler e fece parte della famigerata Banda Koch, un reparto speciale del Ministero degli interni della Repubblica Sociale Italiana. In questo periodo venne segnalato dal servizio segreto britannico, il SIS, quale infiltrato nei reparti partigiani e delatore, appartenente alla Guardia Nazionale Repubblicana (GNR). Alla fine della guerra fu sul fronte di Trieste a contrastare il IX Corpus sloveno, di nuovo con Borghese, come corrispondente di guerra della Decima, con il grado di sottotenente. La sua vita, in questi anni, risultò esser particolarmente travagliata. Un suo fratello aviatore morì in guerra; in un incidente stradale occorsogli presso Verona, nel 1944, egli stesso aveva riportato esiti permanenti in termini di menomazioni fisiche (aveva il naso ricucito ed era claudicante). Anche la moglie Elda, per via della sua militanza filofascista, era braccata dai partigiani nel pavese. In un rapporto del CLN si leggeva il suo nome tra i più pericolosi avversari del movimento partigiano. Arrestato a Milano dagli alleati nell’aprile 1945 ed internato a Modena, prima, e nel campo di Coltano presso Pisa il mese successivo, nel dicembre di quell’anno riuscì ad evadere e a raggiungere Napoli dove rimase per il biennio 1946 – 1947 sotto falsa identità assieme alla moglie ed alle figlie nate proprio in quel periodo.
Nei processi per collaborazionismo fu prima condannato in contumacia, nel 1946, poi assolto, nel 1948, per “mancanza di prove”, dalla Corte d’Assise di Bologna, poi infine assolto per non avere commesso i fatti addebitatigli con sentenza definitiva della sezione 2a penale della Corte suprema di Cassazione l’8 marzo 1949 (difensore Filippo Ungaro), registro generale 3056/48.
Il giornalismo
Trasferitosi a Palermo con la famiglia dopo la seconda guerra mondiale, lavorò presso giornali come Il Tempo di Sicilia, Il Mattino di Sicilia e poi a L’Ora, rivelandosi un ottimo cronista. Nel 1962 aveva seguito la morte del presidente dell’Eni Enrico Mattei e nel settembre del 1970 si stava nuovamente occupando del caso, in seguito all’incarico ricevuto dal regista Francesco Rosi per il suo film Il caso Mattei, che sarebbe in seguito uscito nel 1972.
De Mauro aveva pubblicato, sempre su L’Ora, il 23 ed il 24 gennaio 1962 il verbale di polizia, risalente al 1937 e caduto nel dimenticatoio, in cui il medico siciliano Melchiorre Allegra, tenente colonnello medico del Regio Esercito durante la Prima Guerra Mondiale, affiliato alla Mafia nel 1916 e pentito mafioso dal 1933, elencava tutta la struttura del vertice mafioso, gli aderenti, le regole, l’affiliazione, l’organigramma della società malavitosa. Tommaso Buscetta, davanti ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quindici anni dopo la morte del giornalista, ebbe ad affermare che “… De Mauro era un cadavere che camminava. Cosa Nostra era stata costretta a ‘perdonare’ il giornalista perché la sua morte avrebbe destato troppi sospetti, ma alla prima occasione utile avrebbe pagato anche per quello scoop. La sentenza di morte era solo stata temporaneamente sospesa”.
Fonte

In redazione l'aveva confidato a più di un collega: "Ho uno scoop che farà tremare l'Italia". Era venuto a sapere che il principe Junio Valerio Borghese stava preparando un golpe. E che Cosa Nostra complottava con i generali. Mauro De Mauro però fece le domande giuste alle persone sbagliate. Prima lo rapirono e lo "interrogarono", poi lo strangolarono.
Il suo cadavere fu seppellito in campagna, tra la borgata di Villagrazia e la foce del fiume Oreto. Trentacinque anni dopo si chiude l'inchiesta sul primo delitto eccellente di Palermo.

È la "pista nera" che puzza di mafia. È la sola, l'unica che resiste a più di tre decenni di aggrovigliate investigazioni. I fascisti progettavano di fare il colpo di stato alleandosi in Sicilia con i boss, fu la scoperta di quel patto la condanna a morte di Mauro De Mauro, reporter del quotidiano della sera L'Ora, corrispondente dall'isola de Il Giorno e della Reuters, giornalista famoso e dal burrascoso passato repubblichino nella Decima Mas. Ucciso nel settembre 1970 per una notizia che gli avevano soffiato amici frequentati in gioventù, compagni d'armi e camerati. Mandanti dell'omicidio i capi della Cupola Stefano Bontate, Gaetano Badalamenti e Salvatore Riina. Ordinarono il suo rapimento dopo un incontro a Roma con il principe Borghese e due alti ufficiali del Sid, il servizio segreto militare di allora. Il golpe era previsto per dicembre, nella notte tra il 7 e l'8, nome in codice del piano insurrezionale "Tora Tora". Fu un omicidio "preventivo", sostengono i magistrati nella loro ultima ricostruzione sul sequestro del giornalista. […]
Il giornalista era già tempo sorvegliato dai mafiosi. Avevano paura che scoprisse qualcosa sull'"incidente" al presidente dell'Eni, lui lavorava alla sceneggiatura del film che Francesco Rosi stava girando proprio sull'attentato di Bascapè. Ma De Mauro non custodiva segreti su Mattei. Si era invece imbattuto in quell'altra storia, il colpo di stato, il golpe che il "principe nero" voleva far scattare da lì a tre mesi coinvolgendo anche Cosa Nostra. I mafiosi avrebbero dovuto occupare la sede Rai di Palermo, le prefetture e le questure delle città siciliane.

Erano quasi le 9 di sera del 16 settembre quando sparì proprio sotto casa sua, in via delle Magnolie, la Palermo del sacco edilizio. Mauro uscì dalla redazione de L'Ora e fermò la sua Bmw davanti a un bar, comprò due etti di caffè macinato, due pacchetti di Nazionali senza filtro e una bottiglia di bourbon. Stava posteggiando l'auto quando sua figlia Franca - la ragazza si sarebbe dovuta sposare la mattina dopo - dalla finestra vide il padre "che parlava con due o tre uomini". Poi la Bmw all'improvviso ripartì. Fu ritrovata la mattina dopo dall'altra parte della città. Aveva ancora le chiavi inserite nel cruscotto. A Palermo è il rituale della lupara bianca. Così Mauro scomparve per sempre.

Per più di vent'anni solo silenzio. Dopo le stragi del 1992 cominciarono a parlare i pentiti. Il primo fu Gaspare Mutolo. Svelò due nomi: "Lo strangolarono Stefano Giaconia ed Emanuele D'Agostino". Poi arrivò Buscetta. E poi ancora Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Gaetano Grado. Tranne don Masino che è morto, gli altri sono stati tutti riascoltati dai magistrati. E tutti hanno indicato la "pista nera". Per ultimo Francesco Di Carlo ha ricordato di summit a Roma tra capimafia e generali. E ha spiegato: "De Mauro non fu nemmeno trascinato via a forza quella sera..". Conosceva bene una di quelle "due o tre persone" che sua figlia Franca intravide dalla finestra di casa. Era Emanuele D'Agostino, l'autista di Bontate. De Mauro si fidava in qualche modo di D'Agostino. E forse proprio da lui stava cercando di avere quel pezzo mancante per il suo scoop. Lo portarono in un casolare e fu Mimmo Teresi a interrogarlo, a tirargli fuori quello che sapeva sul colpo di stato. Poi lo uccisero. Nessuno dei pentiti sa dove sia esattamente la sua tomba, tutti dicono che è "sicuramente sotterrato" a Villagrazia, sul letto di quello che una volta era il fiume Oreto.
Attilio Bolzoni, De Mauro ucciso per uno scoop scoprì il patto tra boss e golpisti, La Repubblica
Il 9 Giugno 2011 la corte d’Assise di Palermo assolve Totò Riina per l’omicidio del giornalista, in una sentenza che mette in luce depistaggi e coperture.

L'omicidio del giornalista Mauro De Mauro è un mistero che dura da quarant'anni. E sembra destinato a restare tale. Dopo dieci ore di camera di consiglio, la corte d'assise di Palermo ha assolto Totò Riina dall'accusa di aver ordinato la morte del coraggioso cronista del giornale "L'Ora", sequestrato e ucciso la sera del 16 settembre 1970. La Procura di Palermo aveva chiesto la condanna all'ergastolo per il capo di Cosa nostra, sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti storici, da Tommaso Buscetta a Gaspare Mutolo, da Francesco Marino Mannoia a Francesco Di Carlo.

"E' una vergogna di 41 anni". Dice la figlia di De Mauro, Franca, che ha assistito in aula alla lettura della sentenza. "Sono molto turbata per questa conclusione - ha aggiunto - perché ritenevo, dopo avere seguito la requisitoria dei pubblici ministeri e le dichiarazione di alcuni collaboratori, che ci fossero le condizioni per arrivare a una conclusione diversa".

L’unica certezza del caso De Mauro restano i depistaggi, che avrebbero ostacolato l’indagine sin dall’inizio. Sembra dirlo anche il dispositivo della sentenza della corte d’assise presieduta da Giancarlo Trizzino: dopo l'assoluzione di Riina, i giudici hanno disposto che tornino in Procura le deposizioni di alcuni testimoni. Quella del superpoliziotto Bruno Contrada, innanzitutto, che sta scontando una condanna a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa. La corte ha visto la falsa testimonianza anche nelle deposizioni di due ex redattori di “Epoca”, Pietro Zullino e Paolo Pietroni, poi nelle parole dell’avvocato Giuseppe Lupis, ritenuto vicino ad ambienti dei servizi segreti.

"Questo è un processo di mafia, ma non solo", aveva detto nella requisitoria il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, che ha sostenuto l'accusa assieme al collega Sergio Demontis: "Non fu solo Cosa nostra a volere la morte del cronista de L'Ora - questa la tesi della Procura di Palermo - c'erano anche altri ambienti e personaggi interessati, altre organizzazioni non mafiose alleate con Cosa nostra: dalla massoneria deviata alla destra eversiva golpista, dai servizi segreti infedeli a un certo mondo della finanza e della politica".

Secondo la ricostruzione dell'accusa, sarebbero stati in molti a voler fermare lo scoop che De Mauro aveva annunciato a pochi amici, ai familiari e forse a qualcuno che potrebbe averlo tradito: dal processo è emerso che il giornalista palermitano aveva scoperto qualcosa di importante sulla morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei, ucciso il 27 ottobre 1962 dall'esplosione dell'aereo che lo stava riportando a Milano dopo una visita in Sicilia. Questo hanno ipotizzato i pentiti Mutolo, Buscetta e Grado. O forse De Mauro aveva scoperto che il principe Junio Valerio Borghese stava preparando un colpo di Stato, per il dicembre di quel 1970. Così sostiene un altro pentito, Francesco Di Carlo.

Nel primo, come nel secondo episodio, i padrini di Cosa nostra avrebbero avuto un ruolo. Il cronista del giornale "L'Ora" l'aveva scoperto da alcune sue fonti rimaste ignote, forse all'interno dell'organizzazione mafiosa. Ma le dichiarazioni dei pentiti non sono bastate per la condanna di Riina.

I depistaggi
Di certo, l'inchiesta sull'omicidio De Mauro è stata scandita da pesanti depistaggi, iniziati sin da subito. Ecco perché la prima sentenza arriva solo quarant'anni dopo. "Furono depistaggi magistrali messi in atto da esponenti della polizia, dei carabinieri e dei servizi segreti", così li hanno descritti i pm nel corso della requisitoria. E perché la verità non si scoprisse, scomparvero presto nove pagine degli appunti che De Mauro aveva raccolto durante l'indagine su Mattei, commissionata dal regista Francesco Rosi. I fogli erano al giornale "L'Ora", nei cassetti di una scrivania che furono aperti il giorno dopo il sequestro dai vertici del quotidiano, prima ancora dell'arrivo della polizia.

Il legale della famiglia De Mauro, l'avvocato Francesco Crescimanno, ha denunciato nel suo intervento finale in aula: "Non vi è dubbio che alcuni soggetti o alcuni settori del giornalismo non hanno vissuto adeguatamente quel momento. Ci sono passaggi ancora traballanti".

E perché negli ultimi tempi un cronista investigativo di razza come De Mauro era stato trasferito allo sport? Se lo sono chiesti i pubblici ministeri: "De Mauro fu tradito dal suo stesso ambiente? - hanno proseguito Ingroia e Demontis - Qualche potente aveva influenza su L'Ora?".

Nell'aula della corte d'assise è risuonato il nome dell'avvocato Vito Guarrasi, uno dei potenti di Palermo, spesso sfiorato dal sospetto di essere il trait-d'union fra la mafia e i poteri occulti d'Italia. E' morto nel 1999, senza che mai quei sospetti si fossero trasformati in un'inchiesta a suo carico. Solo dopo la morte di De Mauro, qualche investigatore della squadra politica della questura di Palermo aveva aperto un fascicolo a nome "Guarrasi". E aveva anche intercettato le telefonate di un commercialista che sembrava essere la longa manus dell'avvocato: era quell'enigmatico Nino Buttafuoco che si era proposto di aiutare la famiglia De Mauro dopo il sequestro.

Ma pure le bobine delle intercettazioni sono sparite. Non si trovano più neanche le trascrizioni. L'ultima amara verità emersa nel processo dice che nel novembre 1970 arrivò a Palermo l'allora capo dei servizi segreti Vito Miceli: avrebbe presieduto una riunione con i vertici delle forze di polizia, convocata nella villa Boscogrande dove il regista Visconti aveva girato le scene iniziali del "Gattopardo".

"E' arrivato l'ordine che le indagini vengano annacquate", confidò qualche tempo dopo il commissario Boris Giuliano a uno dei magistrati che si occupavano del caso De Mauro. E nessuno indagò più su Guarrasi, sulla fine di Mattei, e su tutti i sospetti che portavano allo scoop eclatante di De Mauro. "Farò tremare l'Italia", aveva confidato lui a un amico, pochi giorni prima di morire. Il mistero continua.
La Repubblica Omicidio De Mauro assolto Totò Riina la procura aveva chiesto l’ergastolo
Un "De Mauro bis" lo definisce il procuratore aggiunto Antonio Ingroia. Dalla sentenza che ha assolto Totò Riina nascerà una seconda indagine e un secondo processo sui depistaggi per tentare di occultare la verità sulla morte del giornalista dell'Ora. E comunque la procura non si arrende. «Non ci rassegniamo - assicura Ingroia - semmai la ricerca della verità prosegue su due fronti». Dunque sarà presentato appello contro la sentenza che ha assolto Riina dall'accusa di essere il mandante dell'omicidio e parallelamente si procederà nei confronti di quei soggetti per i quali la stessa corte d'assise ha trasmesso gli atti alla procura per falsa testimonianza. Tra questi l'ex 007 Bruno Contrada, i giornalisti Zullino e Pietroni e l'avvocato Lupis, che presto saranno iscritti nel registro egli indagati. «Il De Mauro bis - spiega Ingroia - riguarderà i depistaggi attuati sia all'inizio che nel corso delle indagini e che hanno prodotto gravi effetti. Quando si disperdono prove e si distruggono tracce le conclusioni non possono essere diverse. Questa sentenza può apparire una sconfitta dello Stato ma la guerra non è persa e noi non alziamo bandiera bianca». Stupito per l'assoluzione anche il procuratore capo Messineo: «Non dico che la condanna sembrava scontata ma certamente da quello che era emerso nel processo sembrava quasi certa la condanna all'ergastolo».
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