giovedì 27 settembre 2012

27 Settembre 1960
Paolo Bongiorno 38 anni, bracciante agricolo, segretario della Camera del Lavoro di
Lucca Sicula

Era la sera del 27 settembre del 1960, Paolo Bongiorno, dopo una riunione del partito, stava rincasando in compagnia del giovane nipote Giuseppe Alfano, leader dei giovani comunisti. Come ogni sera, Paolo, uscendo dai locali della Camera del Lavoro di Lucca Sicula, della quale era segretario, ritornava a casa attraversando le vie del centro storico del piccolo centro montanaro dell’agrigentino, abitato da circa tremila abitanti.
Chiacchierando, zio e nipote avevano già percorso la via Teatro, la via Centrale e la via Lanternaro; poi s’incamminarono verso la via Cutò, imboccarono la via Siggia e giunsero in via Valle, all’estrema periferia del paese, dove vi erano le loro abitazioni.
Erano le 22:30 circa quando, giunti a pochi metri dall’abitazione, due scariche di lupara, sparate da ignoti killer nascosti dietro lo spigolo di un muro, colpirono alla schiena Paolo Bongiorno. Lui emise un forte grido di dolore e, dopo aver fatto alcuni balzi in avanti, stramazzò al suolo in fin di vita. Il giovane nipote, terrorizzato, chiamò aiuto e allarmò i vicini di casa e la zia Francesca Alfano, moglie del Bongiorno. Poi corse ad avvisare i carabinieri della locale stazione. «Mi trovavo a letto ancora vegliante - raccontò la moglie della vittima ai carabinieri giunti sul posto dopo alcuni minuti - sentii due colpi di arma da fuoco che si susseguivano l’uno all’altro. Preoccupata abbandonai il letto e, prima ancora di affacciarmi, mio nipote m’invitava ad aprire gridando: ‘Zia apri, ci hanno sparato’. Mi precipitai fuori e trovai mio marito a terra; poiché sembrava semplicemente svenuto, con mio fratello lo trasportammo a casa. Adagiatolo sul letto cercai di rianimarlo e gli porsi un bicchiere d’acqua che egli bevve. Aveva gli occhi spalancati e mi fissava, senza comunque profferire parola. Mi parve che avesse in animo di dirmi qualche cosa ma dopo pochi istanti spirò».
Paolo Bongiorno, 38 anni, bracciante agricolo, segretario della Camera del Lavoro di Lucca Sicula, padre di cinque figli, morì tra le braccia tremanti della moglie guardandola fissa negli occhi, cercando fino all’ultimo respiro di poterle dire qualcosa. Francesca Alfano rimase sola e disperata, in stato di avanzata gravidanza e con cinque creature in tenera età da accudire. Questa la triste fine di Paolo Bongiorno, nato e cresciuto a Cattolica Eraclea, residente a Lucca Sicula, dove si era trasferito nel 1949 in cerca di lavoro, ricco di speranze. Nel tempo libero dopo faticose giornate di lavoro nei campi, Paolo faceva il segretario della Camera del Lavoro di Lucca Sicula, in paese era stimato e apprezzato da tutti, ma ad alcune “cricche” cominciava a dare fastidio. Reclamava più diritti sociali, un salario più alto, condizioni e orari di lavoro più dignitosi. In un paese e in un periodo in cui, di diritti, chi doveva, ne concedeva ben pochi. Dunque arrivò anche per Bongiorno il tempo della lupara. Due colpi alla schiena, i colpi di grazia della mafia. Perché chi doveva capire capisse.
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