martedì 25 settembre 2012

25 Settembre 1979
Cesare Terranova 58 anni, magistrato
Lenin Mancuso 56 anni, poliziotto

Cesare Terranova (Palermo, 15 agosto 1921 – Palermo, 25 settembre 1979) è stato un magistrato e parlamentare italiano.
Magistrato italiano, capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, era già stato procuratore d’accusa al processo contro la mafia corleonese tenutosi nel 1969 a Bari, ove però quasi tutti gli imputati furono assolti. Fu procuratore della Repubblica a Marsala fino al 1973 dove si occupò del “mostro” Michele Vinci. Si distinse per aver processato e condannato all’ergastolo, nel 1974, la “Primula rossa” di Corleone, Luciano Liggio (già assolto al processo di Bari).
Fu deputato alla Camera, nella lista del PCI, come indipendente di sinistra, dal 1976 al 1979, e fu membro della Commissione parlamentare Antimafia. Dopo l’esperienza parlamentare, tornò in magistratura per essere nominato capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo.
Fonte

Ai primi di Settembre [1979] torna a Palermo, dopo una lunga parentesi romana, un magistrato colto, informato, tutto d’un pezzo. «Giudice duro» è il peggior apprezzamento che riescono a coniare i suoi avversari, colleghi e no. Il magistrato che torna in Sicilia, dopo essere stato per due legislature componente della commissione antimafia eletto nelle liste del PCI si chiama Cesare Terranova, e ha cinquantanove anni. Per la mafia è un uomo ingombrante. Entrato in magistratura nell’immediato dopoguerra, la sua intera biografia era stata scandita da grandi inchieste, grandi processi alle vecchie cosche degli anni ’60. Terranova, giudice istruttore a Palermo fin dal ’58, aveva potuto assistere dal suo osservatorio privilegiato, alle guerre senza quartiere che segnarono l’assalto alla città, all’insegna della speculazione edilizia e dell’accaparramento delle aree. Dalle sue mani erano passati i dossier più scottanti: quello sulla mafia della borgata di Tommaso Natale o contro la terribile famiglia Rimi di Alcamo, quello sui fratelli La Barbera – personaggi di spicco del sacco urbanistico di Palermo – o sull’uccisione, in ospedale, dell’albergatore Candido Ciuni per mano di killer travestiti da medici. Ed era stato il primo magistrato a mettere finalmente per iscritto, nella sentenza istruttoria per la strage di viale Lazio, che gli amministratori comunali di allora rappresentavano il centro propulsore della nuova mafia.[…] Ma non è tutto. il magistrato aveva preso di petto, infischiandosene degli inviti alla prudenza che da più parti gli venivano, l’intera «famiglia» dei corleonesi di Luciano Liggio. Riuscì a portare alla sbarra una sessantina fra gregari e colonnelli e lo stesso Luciano Liggio, che, in secondo grado, subì l’ergastolo. Liggio giurò pubblicamente odio eterno a Terranova. […]
Un passato cristallino, una scelta di campo ribadita negli anni, una conoscenza del fenomeno talmente approfondita da renderlo quasi certamente vincitore nella corsa alla poltrona di capo dell’ufficio istruzione di Palermo. Tornava in Sicilia non solo il Terranova che aveva provocato sudori freddi alla mafia di quegli anni, ma anche l’ex parlamentare che aveva ampliato i suoi orizzonti nella commissione d’inchiesta e che ora, in una parola, ne sapeva di più. E tornava – ma questo allora potevano saperlo in pochi – in un momento in cui i corleonesi si preparavano ad un gigantesco regolamento di conti con le cosche rivali. […]
La mafia sapeva che questo giudice non aveva nel suo cassetto carte scottanti su singoli casi ancora aperta. Conosceva bene tutta la differenza che passa tra la figura di un giudice e quella di un poliziotto. Ma nello stesso tempo capiva che Terranova, giudice dalla memoria ormai storica, Terranova per sette anni commissario dell’antimafia, Terranova con orientamenti politici di sinistra era l’ultima persona che avrebbe dovuto sedersi su quella poltrona. Ne tirò le conseguenze, la mattina del 25 settembre 1979. Ancora una volta un agguato sotto casa.
Terranova scese per recarsi in ufficio. Lo aspettava Lenin Mancuso, quel fedelissimo maresciallo di pubblica sicurezza che ormai da vent’anni lo seguiva come un’ombra; si mise alla guida della sua auto, il poliziotto a fianco. Tre killer circondarono l’auto, armati di una carabina Winchester, d’una calibro 38, d’una 357 magnum. Non ci fu scampo: una trentina di colpi, esplosi a distanza ravvicinatissima. Per il magistrato anche un colpo di grazia sul collo, come stabilì l’autopsia. Il maresciallo invece, pur essendo stato centrato da otto proiettili, sopravvisse ancora un paio d’ore.
Sebbene a quell’ora il quartiere, in una zona elegante della città, fosse affollato di gente, sebbene molti testimoni assistettero casualmente all’esecuzione, non fu mai possibile tracciare l’identikit degli assassini che pure agirono a viso scoperto.
Saverio Lodato, Trent’anni di mafia