martedì 4 dicembre 2012

4 Gennaio 1947
Accursio Miraglia 51 anni, sindacalista

(Sciacca, 2 gennaio 1896 – Sciacca, 4 gennaio 1947)
«Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio! », soleva dire Accursio Miraglia. Una frase presa in prestito dal romanzo di Ernest Hemingway «Per chi suona la campana», ma che lui ormai sentiva come sua. La ripeteva spesso alla moglie, alle sorelle e ai compagni del partito e del sindacato, ogni volta che gli agrari e i gabelloti mafiosi lo minacciavano o gli facevano arrivare l’invito a farsi i fatti propri. In quei primi anni del secondo dopoguerra, Miraglia era dirigente del Partito comunista e segretario della Camera del lavoro di Sciacca. Si era messo in testa di far applicare anche nel suo paese i decreti Gullo sulla concessione alle cooperative contadine delle terre incolte o malcoltivate. E il 5 novembre 1945 aveva costituito la «Madre Terra», una cooperativa di centinaia di braccianti e contadini poveri, alla quale fece assegnare diversi ettari di buona terra. Un gravissimo affronto alla "sacra" proprietà privata, che, giorno dopo giorno, faceva imbestialire i latifondisti e i gabelloti mafiosi, che decisero di fargliela pagare.
Il 4 gennaio 1947, verso le nove e mezza di sera, Accursio Miraglia era appena uscito dai locali della sezione comunista per tornare a casa. A "scortarlo" c’erano quattro compagni: Felice Caracappa, Antonino La Monica, Tommaso Aquilino e Silvestro Interrante. Percorsero un tratto di strada insieme, poi Interrante e Caracappa si staccarono dal gruppo per far rientro nelle loro abitazioni. Gli altri due, invece, accompagnarono il dirigente contadino fino a 30-40 metri da casa sua, lo salutarono e ritornarono indietro. Ma passarono solo pochi secondi e il silenzio fu rotto da numerosi colpi di pistola. Capirono subito che i colpi erano diretti contro Miraglia. La Monica «ritornò indietro e vide un giovane, piuttosto esile, di media statura, con cappotto e berretto, che impugnava un’arma da fuoco lunga, dalla quale fece partire un’altra raffica di colpi. Lo sparatore era in mezzo alla strada, sotto una lampada accesa dell’illuminazione pubblica, e, dopo aver sparato, si allontanò di corsa verso l’uscita del paese. La stessa scena fu vista da Aquilino» […]Probabilmente, insieme a questi due uomini ce n’era un altro, che si allontanò di corsa dopo gli spari. Miraglia morì riverso sulla porta della propria abitazione, tra le braccia della giovane moglie russa, Tatiana Klimenko. Di corsa, erano arrivati La Monica e Aquilino. Poco dopo, arrivarono anche quattro carabinieri, attirati dagli spari. A 51 anni, Accursio Miraglia morì "in piedi", perché non si era voluto piegare alla mafia e agli agrari, perché non volle tradire i suoi contadini. E questo lo capirono bene a Sciacca, dove il dirigente sindacale era benvoluto ed amato dagli onesti. Non era il primo omicidio di mafia. Prima di lui, erano già caduti tanti altri capilega. Il delitto Miraglia, però, fece tanto scalpore in Sicilia e nell’intero Paese. A Sciacca arrivarono tutti i dirigenti sindacali e politici della sinistra, a cominciare dal segretario regionale del Pci Girolamo Li Causi e dal sottosegretario alla giustizia Giuseppe Montalbano. Il funerale non poté tenersi prima di sei giorni, perché erano tanti i cittadini che volevano tributargli l’ultimo saluto. La bara col corpo di Miraglia rimase scoperta tre giorni all’ospedale civico e tre giorni nel salone della Camera del lavoro. Infine, l’11 gennaio si svolsero i funerali, a cui partecipò l’intera popolazione. I preti non vollero che Miraglia fosse portato in chiesa, perché era un morto ammazzato e per giunta comunista. Ma le esequie civili furono lo stesso solenni ed imponenti. In Sicilia, gli operai sospesero il lavoro per dieci minuti. In Italia, per cinque. In tutte le fabbriche suonarono le sirene. Dalla Camera del lavoro al cimitero, la bara fu portata a spalla dai contadini. Era una giornata d’inverno, fredda ed uggiosa, ma non pioveva. Solo quando il corteo funebre arrivò davanti al portone d’ingresso del cimitero, cadde qualche goccia di pioggia, che bagnò la bara. «Un ti visir benidiciri l’omini, ma ti binidiciu Diu», esclamò un anziano contadino.
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