domenica 23 dicembre 2012

23 Dicembre 1995
Giuseppe Montalto 30 anni, agente della polizia penitenziaria

Giuseppe Montalto era un agente scelto della Polizia Penitenziaria. Nacque a Trapani il 14 maggio del 1965 e prestò servizio per vari anni nel carcere “Le Vallette” di Torino, prima di essere trasferito, nel 1993, a Palermo, nella tana dei boss, nella sezione di massima sorveglianza dell'Ucciardone, quella destinata ai criminali che dovevano scontare il regime carcerario del 41 bis.

Chi ha conosciuto Giuseppe, lo ha sempre definito un uomo generoso e buono, che mostrava comprensione nei confronti di chi era costretto a vivere tra le sbarre per ripagare il proprio debito con lo Stato. Dovette forse cambiare idea al momento del suo trasferimento in Sicilia, una terra in cui chi nasce mafioso difficilmente muore martire della Giustizia. I boss dell'Ucciardone non solo continuavano ad ostentare ostilità e avversione nei confronti dello Stato e delle Istituzioni, ma, insofferenti della propria condizione ed incuranti della propria sconfitta, continuavano a recitare la parte dei capi, dei padrini intoccabili, protetti dallo loro stessa fama di ferocia e spregiudicatezza. Infischiandosene dello Stato e delle Leggi persino in carcere, uomini d'onore del calibro di Giuseppe Graviano, scrivevano e spedivano i loro ordini attraverso i pizzini, che riuscivano ad oltrepassare le sbarre di ferro dell'Ucciardone e a dettare ancora legge nel mondo. Giuseppe Montalto trovò per puro caso uno di questi pizzini indirizzati proprio al boss Graviano, a Mariano Agate e Raffaele Ganci.

Lo sequestrò e denunciò subito l'accaduto. Cosa nostra non gli perdonò questa completa aderenza alle Leggi ed al rispetto dello Stato e lo fece uccidere, il 23 dicembre del 2005. Perchè neppure la magia del Natale è capace di mettere un freno alla crudeltà della mafia. All'indomani della strage, così scrisse Giorgio Petta sulle pagine del Corriere della Sera: In una strategia che vede la mafia di nuovo all' attacco delle istituzioni, non ci sarebbero dubbi: si tratta di un delitto intimidatorio, stando alle indagini fin qui svolte da polizia e carabinieri, coordinati dal procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Luigi Croce. A partire dal giorno scelto dai killer per entrare in azione, la vigilia di Natale, festa di pace anche per i mafiosi. Se si rompe la tregua e' soltanto per sfregio, per lanciare un segnale inequivocabile, per far trascorrere, si dice in Sicilia, un "malo Natale" a familiari e amici della vittima. Montalto poteva essere infatti ucciso in qualsiasi momento, a Palermo come a Trapani. Al lavoro era tornato da appena due giorni, dopo sei di ferie. Non aveva mai adottato particolari misure di sicurezza per la propria incolumità , ne' recentemente aveva manifestato timori, e a pesca, la sua grande passione, continuava ad andarci da solo.”

Giuseppe, uomo dello Stato e padre di trent'anni, non si aspettava certamente di essere ucciso alla vigilia di Natale, davanti agli occhi esterrefatti della moglie e della figlioletta. Premiato con la medaglia d'oro al valore civile, così ne ha ricordato la vicenda Giancarlo Caselli, nella prefazione al volume "Montalto, fino all'ultimo respiro", libro dedicato alla vittima di mafia. "L'evocazione del martirio di Montalto ripropone poi l'interrogativo che sempre ci si deve porre di fronte ad una vittima della violenza mafiosa. I tanti morti di mafia, sono forse morti anche perché noi non siamo stati abbastanza vivi? Perché tutti noi (noi cittadini, noi Stato) non ci siamo abbastanza indignati? Non abbiamo vigilato a dovere? Coloro che sono morti hanno visto la sopraffazione, l'illegalità, lo scialo della violenza, la ricchezza facile e ingiusta, la debolezza delle istituzioni. Questo hanno visto e per questo sono morti. Noi invece, - continua Caselli - pur vedendo le stesse cose, quante volte ci siamo accontentati dell'ipocrisia? Quante volte abbiamo sentito e praticato, invece di spezzarlo, il giogo delle mediazioni e degli accomodamenti, magari solo per quieto vivere? La storia del servizio di Montalto nel carcere dell' Ucciardone è anche storia di isolamento e di solitudine e quindi di sovraesposizione alla rappresaglia criminale. Storia di una morte che deve costituire - per tutti noi - una condanna".
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