sabato 28 luglio 2012

28 Luglio 1985
Giuseppe “Beppe” Montana 34 anni, poliziotto

Nato il 1951 ad Agrigento
Morto il 28 luglio 1985 a Santa Flavia
Figlio di un funzionario del Banco di Sicilia, si trasferì a Catania dove crebbe. Ottenne la laurea in Giurisprudenza e successivamente vinse il concorso per entrare nella Polizia. Entrò a far parte della squadra mobile di Palermo ed in seno a questa fu posto alla testa della neonata sezione “Catturandi”, occupandosi della ricerca dei latitanti. In questa veste ottenne risultati di rilievo, scoprendo nel 1983 l’arsenale di Michele Greco ed assicurando alle galere nel 1984 Tommaso Spadaro , divenuto boss del contrabbando di sigarette e del traffico di droga. Aveva inoltre collaborato al “maxi blitz di San Michele” del pool antimafia, eseguendo parte dei 475 mandati di cattura. Con il pool avrebbe continuato a lavorare a stretto contatto fino all’ultimo suo giorno, consolidando con quella struttura un rapporto nato con il giudice Rocco Chinnici, impegnato in prima linea nella “sfida” con la Cosa Nostra. Tre giorni prima della morte di Montana, il 25 luglio 1985 la Catturandi aveva arrestato otto uomini di Michele Greco, che si era sottratto alla cattura. Un altro Greco, Pino, detto “Scarpuzzedda”, era a capo di una cosca che controllava il territorio della zona di Ciaculli in cui si nascondeva il latitante Salvatore Montalto. Montana conosceva bene il soggetto perché stava provando a far costituire Scarpuzzedda e cercava anche di convincere la sua amante, Mimma Miceli, a consegnarlo alla giustizia. Nel 1983 l’agente Zuchetto , infiltrato nelle mafie di Ciaculli, era stato ucciso da Greco perché stava quasi per metter le mani sul Montalto. Fra i mafiosi, non si sa con quanta fondatezza, si era diffusa la voce che Montana ed il suo superiore Ninni Cassarà avrebbero ordinato ai loro uomini che Greco e Prestifilippo non sarebbero stati da prender vivi. Lunga ed intensa fu la collaborazione, accompagnata da un rapporto umano profondo, con Cassarà, che sarebbe stato ucciso nove giorni dopo di lui. Montana era anche dirigente della locale sezione del Sindacato Autonomo di Polizia. Fra le indagini seguite da Montana, anche quella sulla vicenda del Palermo calcio, che condusse in carcere il presidente Salvatore Matta accompagnatovi da diversi faldoni di intercettazioni telefoniche che ne indicavano una gestione finanziaria a dir poco disinvolta. Il 28 luglio 1985, il giorno prima di andare in ferie, Beppe Montana venne ucciso a colpi di pistola (una 357 Magnum ed una calibro 38 con proiettili ad espansione) mentre era con la fidanzata a Porticello, frazione del comune di Santa Flavia, nei pressi del porto dove era ormeggiato il suo motoscafo con il quale teneva d’occhio le ville estive dei mafiosi.

Con una squadra di quindici uomini dava l'assalto ai castelli dei latitanti mafiosi che a Palermo, in quel momento, ammontavano a circa duecento. Già in questa sproporzione numerica, stava una delle ragioni del suo soprannome: Serpico. Un Serpico chiamato a dirigere, a poco più di 30 anni, la sezione «catturandi» della Squadra mobile di Palermo, a quel tempo autentica polveriera. Un Serpico eternamente in azione, eternamente in movimento, quasi mai seduto alla scrivania del suo ufficetto in piazza Vittoria, sede, allora come oggi, della Squadra mobile di Palermo.
Una domenica sera di 20 anni fa - il 28 luglio 1985 - Serpico, al secolo Beppe Montana, 34 anni compiuti da poco, commissario di polizia, veniva affrontato da due killer di mafia fra le barche di Porticello, a pochi chilometri da Palermo, e assassinato con quattro colpi di pistola calibro 38. Era in pantaloncini corti, maglietta e zoccoli, disarmato. L'indomani sarebbe andato in ferie. Iniziava così a Palermo una nuova estate di fuoco. Pagò con la vita l'arresto di latitanti pericolosi: da Masino Spadaro, il re dei contrabbandieri della Kalsa che faceva da trait d'union fra i mafiosi palermitani e i camorristi napoletani degli Zaza e dei Bardellino, a Salvatore Rotolo che aveva personalmente eliminato il medico del Policlinico, Paolo Giaccone, «colpevole» agli occhi dei clan di non avere addomesticato una perizia balistica. Ma fu soprattutto il blitz di Bonfornello, conclusosi con la cattura di Tommaso Cannella, uomo di fiducia di Totò Riina nel comprensorio del termitano (insieme ad altri 7 boss) a segnare la sua fine.
Saverio Lodato, L’ultima estate del Serpico italiano, l’Unità

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