mercoledì 13 giugno 2012

13 giugno 1983

13 Giugno 1983
Mario D’Aleo 29 anni, capitano dei carabinieri
Pietro Morici 27 anni, carabiniere
Giuseppe Bommarito 39 anni, carabiniere

Mario D’Aleo, capitano dei Carabinieri, Pietro Morici, Carabiniere e Giuseppe Bommarito, appuntato dei Carabinieri vennero uccisi la sera del 13 giugno a Monreale (Palermo). L’obiettivo dell’agguato è il capitano D’Aleo, che ha preso il posto di Basile nella stazione di Monreale e ha approfondito le sue indagini fino a individuare l’organigramma del nuovo vertice corleonese. Ma la scoperta conduce D’Aleo alla tomba e sparisce con lui. La commissione si riunisce di corsa per votare la sua condanna, ogni “famiglia” interessata fornisce il killer più abile.
Lo squadrone della morte che apre il fuoco in via Cristoforo Scobar è composto da Raffaele Ganci, da suo figlio Domenico, da suo nipote Francesco Paolo Anzelmo, da Salvatore Biondino, da Michelangelo La Barbera.

Da Repubblica
La giornata stava volgendo al termine e gli ultimi raggi di sole illuminavano Palermo, quando nella via Cristoforo Scobar due uomini d' onore, giunti dinanzi al civico 22, camminando tranquillamente, estrassero le pistole e cominciarono a sparare. Un altro killer munito di fucile - improvvisamente sceso da una Fiat 131 di colore arancione scuro, rubata, che si era avvicinata - supportò la loro azione. Una pioggia di colpi investì tre carabinieri in divisa, appena giunti a bordo di un' auto di servizio Fiat Ritmo, per consentire a uno di loro di recarsi dalla fidanzata. Non ebbero nemmeno il tempo di rendersi conto di quanto stava accadendo e di impugnare le armi, trovate poi riposte nelle fondine. Due di loro avevano fatto in tempo a scendere dall' autovettura. Morivano così il capitano Mario D' Aleo, l' appuntato Giuseppe Bommarito e il carabiniere Pietro Morici. Era il 13 giugno 1983.

Quel delitto non è rimasto impunito. Il movente mafioso è stato accertato, la decisione fu deliberata dalla commisione provinciale di Cosa nostra e molti responsabili sono stati arrestati e condannati. L' ultimo processo alla Corte d' assise d' appello di Palermo in sede di rinvio, a seguito dell' annullamento della Corte di Cassazione, si è concluso il 23 maggio 2007. Si dovettero però attendere le confessioni di Calogero Gangi e, soprattutto, di Francesco Paolo Anzelmo per conoscere da chi era stato costituito lo squadrone della morte.


Dalla sentenza della Corte d’Assise di Palermo del 16 Novembre 2001
Fin dal momento del suo insediamento, il Capitano D’Aleo aveva proseguito, con lo stesso zelo, l’attività di polizia giudiziaria del suo predecessore, volta a contrastare gli interessi mafiosi nel territorio ove imperversava la potente cosca di San Giuseppe Jato, comandata da Brusca Bernardo ed avente come referente, a Monreale, Damiani Salvatore.
L’ufficiale aveva, pertanto, avviato una serie di indagini indirizzate a colpire le iniziative economiche riferibili ai suddetti esponenti mafiosi ed alla cattura dei latitanti che si nascondevano nella zona, fra i quali lo stesso Brusca Bernardo, avvalendosi a tal fine anche della collaborazione dell’Appuntato Bommarito, il quale aveva già operato a fianco del Capitano Basile. L’Appuntato Bommarito, con il Capitano Basile, si era occupato di penetranti indagini nei confronti di Damiani Salvatore, nel corso delle quali i militari avevano sorpreso il boss mentre teneva una riunione con altri soggetti ritenuti appartenenti ad associazione mafiosa e ne era scaturito un conflitto a fuoco. E tali precedenti avevano indotto il Capitano D’Aleo a ritenere che il Damiani fosse coinvolto, quale mandante, nell’omicidio del suo predecessore; sicché l’ufficiale non aveva mai distolto la sua attenzione su quel boss, sottoponendolo fra l’altro ad un fermo in quanto indiziato di essere coinvolto in alcuni episodi di “lupara bianca” verificatisi nell’82 e proponendolo per l’applicazione della misura di prevenzione, sia personale che patrimoniale. Contemporaneamente, il Capitano D’Aleo si era attivato, anche mediante una serie di perquisizioni, al fine rintracciare il latitante Bernardo Brusca. L’ufficiale, infatti, aveva ben compreso quale fosse il peso mafioso nella zona dei diversi componenti della famiglia del Brusca e, per questo, quando incrociava qualcuno di loro, non mancava di fermarlo e sottoporlo a controlli. […]
Il racconto del collaboratore [Anzelmo] conferma la matrice mafiosa del delitto, del resto già desumibile da quanto si è appreso in ordine all’attività di contrasto a Cosa Nostra svolta dal Capitano D’Aleo, nel territorio della Compagnia dei CC. di Monreale coincidente con quello del mandamento di San Giuseppe Jato, divenuto una delle principali roccaforti dei “corleonesi”.
Come è stato riferito da diversi collaboratori e fra gli altri da Brusca Giovanni, in quel periodo nella zona trascorreva la latitanza il capo mandamento Brusca Bernardo; ma anche Riina Salvatore era solito risiedervi, nella proprietà in contrada Dammusi ove il 30.11.1982 era stato ucciso Riccobono Rosario e, peraltro, nella stessa contrada, nel 1985, verrà arrestato Brusca Bernardo.
Il Capitano D’Aleo, al pari del suo predecessore, non si era limitato a ricercare quei pericolosi latitanti mediante un’azione pressante anche nei confronti dei loro familiari (come il giovane Brusca Giovanni), ma aveva sviluppato indagini dirette a colpire i ramificati interessi mafiosi nella zona.
Nel portare avanti quest’attività, anche tramite fermi ed arresti, l’Ufficiale aveva dimostrato pubblicamente di volere compiere il suo dovere, senza farsi condizionare dal potere mafioso acquisito dai boss e dal pericolo delle loro ritorsioni.
Pertanto, è lecito ritenere che la motivazione dell’uccisione del Capitano D’Aleo, risieda nella necessità di fermare un’azione di polizia giudiziaria che prima o poi avrebbe dato i suoi frutti con danni incalcolabili, essendosi peraltro acquisita la consapevolezza che ci si trovava di fronte ad un altro servitore dello Stato assai determinato e in grado di mettere a repentaglio lo stesso prestigio da sempre goduto dai mafiosi in quel territorio.
Al riguardo, è esemplificativo l’episodio relativo all’arresto di Brusca Giovanni avvenuto nel Gennaio 1982, a seguito del quale l’anziano Brusca Emanuele era stato costretto ad uscire allo scoperto e recarsi personalmente presso la caserma dei Carabinieri per lamentarsi del trattamento riservato alla sua famiglia e lanciare sinistri avvertimenti al Capitano D’Aleo.
Ve ne è, dunque, abbastanza per individuare il movente mafioso del delitto e per rendersi conto di come esso avrebbe dovuto essere eseguito al più presto, anche a costo di inasprire - ancora una volta - lo scontro con lo Stato.
Cosa Nostra era l’unica organizzazione criminale operante sul territorio in grado di mettere a segno un’azione militare di quel tipo e l’impronta del suo coinvolgimento è vieppiù percepibile, ove si consideri che le indagini sulle armi e sull’auto utilizzate per eseguire l’agguato di via Scobar, hanno evidenziato collegamenti con altri tre altri omicidi riferibili a detto sodalizio.