giovedì 28 marzo 2013

28 Marzo 1945
Calogero Comaianni 45 anni, guardia giurata

Non era un eroe Calogero Comaianni, ma un uomo normale che cercava di sfamare la moglie e i suoi cinque figli, facendo la guardia giurata. Certo, la Corleone degli anni 40 non era il posto migliore per esercitare un mestiere che in qualche modo avesse a che fare col rispetto della legalità. Ma lui ci provava. Con equilibrio e buon senso, girava le campagne insieme alle guardie campestri comunali, vigilava, dava consigli a qualche giovane scapestrato, tentato da qualche “scorciatoia” per uscire dalla miseria. Il 2 agosto 1944, Comaianni stava facendo il suo solito giro di perlustrazione. Con lui c’erano le guardie campestri Pietro Splendido e Pietro Cortimiglia. Ormai era piena estate e il grano delle campagne corleonesi era stato quasi tutto mietuto da migliaia di braccianti agricoli, molti dei quali provenienti dai comuni della fascia costiera. La sola manodopera locale, infatti, non era sufficiente e si doveva ricorrere a quella proveniente da Bagheria, Misilmeri, Villabate e Ficarazzi.
All’improvviso, si accorsero che due giovani stavano arraffando covoni di grano, caricandoli sui muli. «Fermi! Cosa fate?», gridarono le guardie. Poi si avvicinarono e li videro in faccia. Erano Luciano Liggio e Vito Di Frisco. «Alla vista degli agenti Liggio non fece una piega. Si lasciò arrestare con quell’aria mansueta e vittimistica ostentata ogni volta che la giustizia arriverà a mettergli le mani addosso. Ma quando lo scatto delle manette gli imprigionò i polsi gettò un’occhiata di fuoco in faccia agli agenti, come per stamparseli bene nella mente», scrive Marco Nese («Nel segno della mafia. Storia di Luciano Liggio», 1975). Per quel furto Liggio rimase in galera tre mesi. Ad ottobre uscì dal carcere in libertà provvisoria, ma i volti delle guardie che l’avevano arrestato non era riuscito a dimenticarli. Aveva un amico “Lucianeddu”, un coetaneo di nome Giovanni Pasqua. «Cumpà – gli disse – gli sbirri che mi hanno arrestato non la devono passare liscia. A cominciare da quel Calogero Comaianni, tuo vicino di casa». E insieme studiarono un piano. L’occasione propizia sembrò presentarsi la sera del 27 marzo 1945, sei mesi dopo che la futura “primula rossa” era uscita dal carcere. Calogero Comaianni stava rientrando nella sua casa di via Sferlazzo, in pieno centro storico, quando si vide seguito da due uomini incappucciati. Accelerò il passo, ma pure quelli accelerarono il loro. Con uno scatto felino, la guardia giurata fu svelta a guadagnare la porta di casa, cogliendo di sorpresa i due killer. «Ho avuto l’impressione che due uomini mi seguissero», confidò alla moglie Maddalena Ribaudo. «Li hai conosciuti?», gli chiese lei. «Uno mi è sembrato Giovanni Pasqua. Ma chi può avercela con me? Io non ho mai fatto nulla di male, solo il mio dovere», fu la sua risposta. Il giorno dopo, di prima mattina, Calogero Comaianni pulì la stalla e poi uscì di casa per andare a buttare gli escrementi di animali nella vicina discarica. Fatti pochi passi, si accorse di avere dietro gli uomini della sera precedente. Si guardò intorno. Vide il portone aperto della stalla di un vicino di casa, provò a cercarvi riparo, ma quello glielo chiuse in faccia. Allora Comaianni capì e provò a tornare precipitosamente a casa. Ebbe appena il tempo di bussare, che uno dei due inseguitori gli sparò addosso due colpi di pistola. La porta si aprì e, nonostante già fosse ferito, l’uomo provò a salire i primi gradini. Fu raggiunto dai killer, che gli puntarono ancora addosso le loro armi. Ebbe il tempo di girarsi e di guardare in faccia quello più vicino. Lo riconobbe: era Giovanni Pasqua. «Giovanni, che stai facendo?», gli gridò. Ma quello gli scaricò addosso altri colpi di pistola, ammazzandolo sul colpo. Comaianni aveva 45 anni. Dietro di lui, Luciano Liggio rideva, beffardo, guardandosi la scena. Ma la scena e i suoi protagonisti erano stati visti anche da Maddalena Ribaudo, la moglie di Comaianni, che si era affacciata sulla scala. E da Carmelo, il figlio più grande, che era corso a prendere il fucile per sparare agli assassini del padre. Ma fu fermato dalla madre, mentre i due killer si allontanavano a passo svelto.
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