domenica 10 marzo 2013

10 Marzo 1948
Placido Rizzotto 34 anni, sindacalista, socialista

Placido Rizzotto nacque a Corleone il 2 gennaio 1914 da Carmelo e da Giovanna Moschitta. Dopo il servizio di leva, a 26 anni, fu richiamato alle armi, con destinazione la Carnia. E fu proprio sui monti del Nord-Est che, dopo l’8 settembre 1943, preferì stare al fianco delle brigate partigiane, piuttosto che continuare a combattere la guerra voluta dal fascismo. L’esperienza con i partigiani gli insegnò a gustare gli ideali di giustizia e libertà e la necessità di lottare per conquistarli e renderli concreti. Dopo la Liberazione, tornato a Corleone, organizzò i contadini e i braccianti poveri per aiutarli a conquistare la terra e migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro. Li aiutò anche a costituire la cooperativa agricola "Bernardino Verro", dando vita alle prime lotte per l’applicazione dei decreti Gullo. Per fermare i contadini, tra la fine del 1946 e gli inizi del 1948, gli agrari e la mafia
scatenarono una violenta offensiva contro i dirigenti politici e sindacali della sinistra, assassinandoli uno dopo l’altro. A Portella della ginestra, il 1° maggio 1947, addirittura fu consumata una terribile strage, in cui morirono 11 persone, tra cui donne e bambini. A Corleone, la mafia e gli agrari scelsero come obiettivo Placido Rizzotto, che la sera del 10 marzo 1948 venne sequestrato ed ucciso da un "commando" mafioso. La voce popolare indicò subito in Luciano Liggio l’autore del sequestro e dell’assassinio di Rizzotto. L’ipotesi trovò conferma alla fine del 1949, quando il giovane capitano dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa arrestò Pasquale Criscione e Vincenzo Collura. Interrogati, questi confessarono di avere partecipato al sequestro Rizzotto, ma indicarono in Liggio l’autore del delitto. Precisarono anche che il corpo del sindacalista era stato buttato in una foiba di Rocca Busambra. Dalla Chiesa organizzò le ricerche, fece recuperare alcuni resti umani dalla foiba, che i familiari di Rizzotto riconobbero come appartenenti al loro congiunto. Al processo, però, i due mafiosi ritrattarono e furono assolti, insieme a Liggio, in tutti e tre i gradi di giudizio con la classica formula della "insufficienza di prove".


Placido Rizzotto la sera del 10 marzo del 1948 fu sequestrato, torturato e ucciso dalla feroce mafia del feudo, diretta all’epoca dal medico boss Michele Navarra. Una prima volta la foiba di Roccabusambra, da cui due anni fa la Polizia ha recuperato i resti adesso all’esame della scientifica, fu esplorata il 13 dicembre del 1949 dall’allora capitano Carlo Alberto Dalla Chiesa e dai suoi carabinieri. Allora, furono recuperati i resti di tre cadaveri. Uno di questi fu riconosciuto come quello di Placido dai suoi familiari. In particolare, la madre Rosa Mannino riconobbe
la calotta cranica, dove ancora erano attaccati i capelli marrone del sindacalista. Il fratello Antonino riconobbe, invece, un paio di scarponi di tipo americano con suole e tacchi di gomma, che gli aveva regalato lui. "A me venivano stretti", dichiarò ai giudici. La cordicella elastica, usata da Placido per sostenere le calze, fu riconosciuta invece dalla sorella più piccola, Giuseppina. "L’ho data proprio io a mio fratello Placido - disse ai magistrati - la mattina del 10 marzo, perché la sua si era rotta". Tutti questi materiali sono stati incredibilmente "smarriti" negli archivi del palazzo di giustizia di Palermo o di Roma. Per l’assassinio di Placido Rizzotto, il capitano Dalla Chiesa denunciò l’astro nascente della mafia di Corleone, Luciano Liggio, e due suoi "picciotti", Pasquale Criscione e Vincenzo Collura. Criscione e Collura furono arrestati nel novembre del 1949 e confessarono il delitto. "Abbiamo partecipato al sequestro Rizzotto - dissero a Dalla Chiesa – ma ad ucciderlo è stato Liggio". Ma davanti ai giudici
i due ritrattarono e, in tutti e tre gradi di giudizio, furono tutti assolti con la formula della "insufficienza di prove". Adesso, i nuovi reperti, recuperati nell’agosto del 2008, grazie all’impegno dei poliziotti della squadra investigativa del commissariato di Corleone, potrebbero servire a gettare nuova luce sulle modalità del sequestro e dell’uccisione di Rizzotto. Dalla Foiba, che si apre sul versante nord di Roccabusambra, sono stati recuperati diversi reperti ossei ed i finimenti di un animale da soma (un "morso" in ferro), che potrebbero avvalorare la "voce popolare", secondo cui Rizzotto non è stato ucciso su Roccabusambra, come raccontato da Criscione e Collura, ma in una masseria di contrada "Malvello". Qui, però, prima di essere ucciso, pare che sia stato a lungo
seviziato, tanto era l’odio della mafia nei suoi confronti. Il cadavere, poi, sarebbe stato fatto a pezzi nella stalla della masseria, messo in una "bisaccia" e trasportato a dorso di mulo fino alla foiba. E qui sarebbero stati buttati l’animale ancora vivo con tutto il suo carico. Una tesi avvalorata dai finimenti di mulo e del "morso" in ferro trovati dai poliziotti. Quella sera del 10 marzo, ad assistere alle varie fasi dell’assassinio e dello squartamento del cadavere di Rizzotto c’era il pastorello Giuseppe Letizia, di appena 13 anni, che dormiva la vicino. Letizia sarebbe
poi stato avvelenato all’Ospedale dei Bianchi di Corleone, di cui direttore sanitario a quel tempo era il capo mafia Michele Navarra. Le atroci modalità del delitto e lo squartamento del cadavere spiegherebbero lo stato di shock in cui trovato il pastorello ed il suo delirio febbrile. Nonostante il tempo trascorso, due anni fa, dopo minuziose perlustrazioni e approfondite indagini per individuare l’esatta foiba dov’era stato buttato il corpo del sindacalista, i poliziotti sono riusciti a recuperare alcuni reperti, su cui adesso occorre completare i test del Dna.
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