domenica 25 novembre 2012

25 Novembre 1985
Biagio Siciliano 14 anni, studente
Maria Giuditta Milella 17 anni, studentessa

A volte la mafia uccide con la sua sola presenza, senza dovere impugnare armi o progettare attentati. È quello che successe il 25 Novembre 1985.
Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta: due giudici istruttori nel mirino della mafia. Condividono la scorta, causa scarsità di fondi. Le auto di scorta sfrecciano veloci per le strade, ansiose di evitare fermate o ingorghi, con l’urgenza di non fermarsi e di non rallentare per non trovarsi vittime di un agguato. Viaggiano a sirene spiegate, in corteo, ma a volte non basta.

Quel giorno le auto dei giudici sfrecciano verso il palazzo di giustizia. Un’auto, una fiat uno, sbarra loro la strada all’improvviso. Le auto cercano di evitarla e sbandano piombando su alcuni studenti del liceo Meli di Palermo che attendono l’autobus.
Biagio Siciliano, di 14 anni, muore sul colpo. Giuditta Milella, di 17 anni, morirà all’ospedale una settimana dopo. Molti altri ragazzi rimangono feriti, alcuni molto gravemente.

Sappiamo molto di come reagì Borsellino a questa tragedia. Lo ha raccontato il suo biografo, lo hanno raccontato i suoi figli. Per Borsellino è un colpo durissimo. Telefona in lacrime al consigliere istruttore Caponnetto, che era rientrato a Firenze per un breve periodo di vacanza. Caponnetto rientra d’urgenza a Palermo per stargli vicino. Borsellino non si darà pace per giorni, continuerà a recarsi in ospedale a visitare i ragazzi feriti e a parlare con i loro familiari. Riuscirà a scuotersi solo parecchio tempo dopo, quando la madre di un ragazzo ancora in coma gli dirà che mai lo avrebbe ritenuto responsabile, nemmeno se suo figlio fosse morto.

Ecco, questo ci dice qualcosa di come reagirono i genitori di quei ragazzi a queste morti insensate. Reagirono così, da cittadini. Non si scagliarono contro i magistrati e le loro scorte, anche se sarebbe stato comprensibile e umano. Straziati dal dolore, sostennero quei magistrati, li spronarono a continuare a combattere. E con loro i compagni di Biagio e Giuditta. Questa storia racconta tanto della gente di Sicilia, ma tanto davvero…

Lo stesso Borsellino dichiarò “la mafia dovrà essere chiamata a rispondere del sacrificio di queste vittime innocenti”.

Ventitré anni fa, c’era una scuola a piazza Croci, a Palermo: il liceo classico “Giovanni Meli”. E c’era una fermata d’autobus. I ragazzi non si preoccupavano troppo del percorso che bisognava affrontare per arrivare dal portone alla pensilina verde.
Per passare dalla stanchezza delle lezioni di latino, dallo sfiancante ritmo di Rosa rosae… alla promessa del ritorno a casa sull’autobus “4” affollato fino all’inverosimile. Quel giorno – era il 25 novembre del 1985 – la storia sembrava la stessa. Sì, la stessa storia normale di sempre. Il ritorno a casa, il pranzo con i genitori, i compiti, gli amici, le cotte, la sera, lo zaino per il giorno dopo. Qualcuno sentì un sibilo di sirena in lontananza e non si preoccupò troppo. In fondo, era normale che le macchine di scorta ai magistrati sfrecciassero in via Libertà. Qualcuno si sporse sulla strada, dalla fermata, per scorgere la sagoma dell’autobus. Una macchina di scorta ai giudici Leonardo Guarnotta e Paolo Borsellino, guidata da un carabiniere, carambolò su un’altra auto all’incrocio e finì la sua corsa nel cuore della fermata. Biagio Siciliano, un ragazzo della IV D, morì quasi subito. Maria Giuditta Milella, della IIIB, spirò in ospedale, giorni dopo. Biagio era figlio di Nicola che faceva l’operaio e di Maria Stella. Maria Giuditta era figlia di Carlo, vicequestore, e di Francesca. Seguirono giorni convulsi. Guarnotta e Borsellino straziati dall’incidente e dal senso di colpa. I funerali, la rabbia della gente. Chi scrive, quel giorno, era alla fermata come tanti. E si salvò per un caso. Ora, è rimasta soltanto una targa, con un mazzo di fiori, alla fermata di piazza Croci. E al posto della scuola c’è una banca.
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