mercoledì 14 novembre 2012

14 Novembre 1982
Calogero Zucchetto 27 anni, poliziotto

Calogero Zucchetto (Sutera, 3 febbraio 1955 – Palermo, 14 novembre 1982) è stato un poliziotto italiano.
Si occupava di mafia ed in particolare collaborava alla ricerca dei latitanti che allora erano molto numerosi. All’inizio degli anni ottanta, presso la squadra Mobile della Questura di Palermo, collaborò con il commissario Ninni Cassarà alla stesura del c.d. “rapporto Greco più 161″ che tracciava un quadro della guerra di mafia iniziata nel 1981, dei nuovi assetti delle cosche, segnalando in particolare l’ascesa del clan dei corleonesi capeggiato da Totò Riina. Riuscì ad entrare in contatto anche con il pentito Totuccio Contorno che si rese molto utile con le sue confessioni per la redazione del rapporto dei 162.
Con il commissario Cassarà andava in giro in motorino per i vicoli di Palermo ed in particolare per quelli della borgata periferica di Ciaculli, che conosceva bene, a caccia di ricercati. In uno di questi giri con Cassarà incontrò due killer al servizio dei corleonesi, Pino Greco detto “scarpuzzedda” e Mario Prestifilippo, che aveva frequentato quando non erano mafiosi. Questi lo riconobbero e non si fecero catturare. All’inizio di novembre del 1982, dopo una settimana di appostamenti, tra gli agrumeti di Ciaculli riconobbe il latitante Salvatore Montalto, boss di Villabate, ma essendo solo e non avendo mezzi per catturarlo rinunciò alla cattura, avvenuta poi il 7 novembre con un blitz del Cassarà.
La sera di domenica 14 novembre 1982, all’uscita dal bar “Collica” in via Notarbartolo, un’elegante via del centro di Palermo, fu ucciso con cinque colpi di pistola alla testa sparati da due killer in sella ad una moto.
Successivamente gli autori del delitto vennero individuati in Mario Prestifilippo e Pino Greco, gli stessi che aveva incrociato in motorino. Come mandanti furono in seguito condannati i componenti della “cupola mafiosa”, cioè gli appartenenti all’organo più importante della “Cosa Nostra”, Totò Riina, Bernardo Provenzano, Calogero Ganci ed altri.
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Sessanta giorni dopo l’uccisione di Dalla Chiesa, il 14 novembre 1982, venne assassinato in un elegante bar del centro di Palermo, Calogero Zucchetto, poliziotto della sezione investigativa che aveva da poco compiuto ventisette anni. E i giornali italiani, forse stanchi per l’overdose dell’argomento mafia nell’ultimo periodo dedicarono un modesto rilievo a quell’agguato che invece confermava, ancora una volta, quanto fosse alto il potere militare delle cosche sul territorio. Era un’agente semplice Zucchetto, perché meravigliarsi se avevano tolto di mezzo anche lui? In realtà Zucchetto svolgeva un delicatissimo lavoro sul rapporto dei “162” – quello che piaceva a Dalla Chiesa – e per conto del suo direttore superiore – il funzionario della sezione investigativa, Ninni Cassarà – faceva da esca in ambienti mafiosi pur di riuscire a mettere insieme un tassello dietro l’altro. Un bel ragazzo, dall’aria un po’ dinoccolata, che aveva iniziato il suo apprendistato a diciannove anni, e per una breve parentesi aveva preso parte alle prime rudimentali scorte affiancate al giudice Falcone. Esuberante, gran lavoratore, intelligenza pronta, Zucchetto aveva manifestato subito il desiderio di “andare in strada”. Trascorreva nottate intere nelle discoteche e nelle paninerie palermitane. Aveva ottimi agganci anche nel mondo grigio della prostituzione, delle case di appuntamenti, delle sale corse, del mercato ortofrutticolo, punti di riferimento naturali questi di una varia umanità che a Palermo spesso incontra la mafia sul suo cammino.
[…]Spesso con il suo “vespone” anche quando non era in servizio, se ne andava in giro per i viottoli degli agrumeti di Ciaculli, gli occhi bene aperti a spiare i movimenti degli uomini dell’esercito del boss Michele Greco, soprannominato il “Papa(?!)”. Alla fine di ottobre giunse alla mobile la “soffiata” giusta: qualcuno giurava di aver visto in un’auto, dalle parti di Villabate, il boss Salvatore Montalto, che da tempo si era dato alla latitanza. Per accertare questa circostanza Zucchetto – incaricato da Cassarà di occuparsi del caso – impiegò una decina di giorni, trascorsi con altri collaboratori in uno snervante lavoro di appostamento a bordo di un’auto senza radio (quindi non collegate con la centrale) per non alimentare i sospetti.
Finalmente la mattina del 28 ottobre, dalle parti di Ciaculli, il poliziotto ficcanaso incontrò tre uomini che parlavano fra loro, accanto alle auto dalle quali erano scesi.
Un brivido scosse Zucchetto: ma quello non era Salvatore Montalto? E quell’altro non era il feroce super killer Pino Greco soprannominato “ “scarpuzzedda”? E c’era anche Mario Prestifilippo, “Mariuzzo”,giovanissimo tiratore scelto che si sarebbe macchiato di decine e decine di delitti per conto delle cosche legate ai corleonesi. Una pesca davvero miracolosa quel giorno. Tanto miracolosa da non potere essere messa a segno con la semplice “esca” Zucchetto. […] Dovette precipitarsi alla cabina telefonica più vicina, chiese rinforzi, ma volò via del tempo prezioso. Un buco nell’acqua: i tre si erano dileguati. Il 31 ottobre, appena tre giorni dopo, Zucchetto e altri poliziotti si nascosero alla meno peggio tra piccoli alberi di limoni poco distanti dalla villa dove Salvatore Montalto, ancora ignaro di tutto, trascorreva la sua latitanza. […] Ancora una volta i poliziotti preferirono attendere l’occasione più propizia. Il primo novembre ’82, il cerchio si strinse: Ninnì Cassarà e Calogero Zucchetto, con l’aria innocente di due giovani universitari, ripercorsero in vespa la zona proibita. Si imbatterono in “scarpuzzedda” e Prestifilippo ed ebbero entrambi la spiacevole sensazione che la loro presenza questa volta non fosse passata inosservata. Il 7 novembre ’82 la villa del latitante Salvatore Montalto venne accerchiata con tutti i crismi, e l’irruzione dei poliziotti si concluse con la cattura del boss. Zucchetto non prese parte al blitz. Non firmò alcun atto di servizio. Le precauzioni non servirono: anni prima, quando ancora i Prestifilippo non erano ricercati perché non inseriti nel rapporto dei “162”, Zucchetto li aveva conosciuti e frequentati. Il poliziotto aveva tradito la loro antica ospitalità. Si era spinto fin dentro quella roccaforte di mafia – la borgata di Ciaculli - dove i latitanti razzolavano indisturbati. Una bella lezione, ormai, non gliela levava nessuno.
Zucchetto aveva l’abitudine di lavorare anche di domenica, e quindi poteva benissimo essere ammazzato anche di domenica: un modo sbrigativo scelto dalla mafia per ripetere che non gradisce i funzionari troppo zelanti, e anche un modo di approfittare della maggiore rilassatezza della vittima designata. Zucchetto venne ucciso alle 21 e 25 del 14 novembre, con cinque colpi di pistola calibro 38, davanti al bar Collica, dopo aver consumato la sua ultima birra e il suo ultimo panino.
[…]Zucchetto fu il primo di un’altra lunga serie. Sarebbe stato assassinato Cassarà , il suo diretto superiore. Sarebbe stato assassinato Giuseppe Montana, l’altro funzionario che dava la caccia ai latitanti. Cassarà e Montana capirono più degli altri il significato vero dell’eliminazione di Zucchetto. Si resero conto che le famiglie dell’eroina stavano tornando – dopo l’uccisione di Boris Giuliano a prender di petto la polizia.
Cassarà, Montana e Zucchetto, avevano contribuito alla stesura di quel rapporto dei “162”, primo tentativo serio di inquadrare ciascuna famiglia al posto giusto, disegnando la mappa dei cosiddetti “vincenti” e “perdenti”.
[…] Ma la morte del poliziotto – esca venne letta con la giusta chiave solo dagli addetti ai lavori.
Saverio Lodato, Trent’anni di mafia
Vorrei ricordare un ragazzo che nei momenti migliori della sua vita non esitò a lottare contro quel cancro chiamato Cosa Nostra. Come dirò, poteva evitare di partecipare al blitz, ma la sua onestà, il suo attaccamento a quei principi morali che avevano sempre contraddistinto il suo comportamento, non gli impedì d’essere presente alla cattura del Capo mafia Salvatore Montalto di Villabate.
Ventisette anni fa, domenica 14 novembre 1982, davanti al bar Collica di via Notarbartolo, l’Agente Calogero Zucchetto, per noi della Mobile palermitana “Lillo” fu barbaramente assassinato da killers di Cosa Nostra.
Lillo, una settimana prima della cattura, era stato visto insieme a Ninni Cassarà alle Balate di Villabate/Ciaculli, mentre a bordo della Vespa ritornavano dal sopralluogo della villa/covo del Montalto. Nel percorrere la stradina dell’agro, incrociarono una A/112 con a bordo Pino Greco “scarpuzzedda”, Mario Prestifilippo “mariolino” e Giovanni Fici, tutti latitanti di Cosa Nostra. Gli occupanti l’auto riconobbero Lillo.
Un paio di sere dopo, mentre Lillo s’apprestava a salire sulla sua auto parcheggiata davanti casa, notò che Mariolino Prestifilippo era lì a lanciargli un silenzioso avvertimento. Cassarà, informato della presenza del mafioso, volle accelerare il blitz per la domenica successiva, ossia il 7 novembre, invitando lo stesso Lillo a non partecipare. Lillo, invece, risentitosi affermò che sarebbe intervenuto lo stesso, tanto “ormai mi hanno riconosciuto e quindi penseranno subito a me e male che vada mi faranno saltare la macchina in aria”. Domenica 14 il dramma.
Nel corso della mia carriera di poliziotto ho conosciuto tante persone, ma ragazzi seri e preparati come Lillo ne conobbi davvero pochi. In Lillo apprezzai la sincerità e il comportamento da persona perbene: l’onestà era la linfa con la quale nutriva il suo impegno antimafia. Egli, volle a tutti i costi lasciare la sua pattuglia per transitare nella mia, confidandomi le motivazioni del repentino cambiamento. La piena fiducia accordatami, mi indusse a credere che Lillo era intellettualmente un galantuomo dotato di principi altamente morali. Ed io oggi voglio ricordarlo con quel sorriso silente che spesso mi deliziava nei nostri solitari e taciturni (entrambi parlavamo poco) appostamenti sul costone della montagna che sovrasta Ciaculli.
Grazie Lillo per avermi dato quella fiducia che non hai riposto in altri e per avermi dato la possibilità di ricambiare l’amicizia. Noi due non avemmo tanto tempo per stare insieme, purtroppo i cosiddetti Uomini d’onore, impedirono il nostro progetto di lavorare insieme, ma di una cosa sono certo che Cosa Nostra non riuscì a toglierti dal mio cuore. Grazie Lillo per l’amicizia. Il tuo segreto è ben custodito."
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