lunedì 6 agosto 2012

6 Agosto 1985
Ninni Cassarà 37 anni, poliziotto
Roberto Antiochia 23 anni, poliziotto

La strage di via croce rossa
Ninni Cassarà era vicedirigente della Squadra mobile di Palermo ed era riconosciuto come uno dei migliori investigatori della Polizia del capoluogo siciliano. Aveva guidato insieme ai colleghi americani l’operazione denominata “Pizza Connection” che aveva portato all’arresto di decine di mafiosi tra Italia e Stati Uniti e guidato molte operazioni contro la mafia, insieme al suo amico e stretto collaboratore Beppe Montana ( assassinato dalla mafia il 28 Luglio ), sotto il coordinamento del pool antimafia della procura di Palermo. Intorno alle 14,30 del 6 Agosto il vicequestore Cassarà stava facendo rientro a casa, in Viale Croce Rossa a Palermo, insieme a tre collaboratori della propria sezione, uno dei quali era l’agente Roberto Antiochia, il quale, pur prossimo al trasferimento per Roma, dopo l’omicidio del commissario Montana, aveva deciso di rimanere accanto al proprio dirigente. Quando l’Alfetta blindata con i quattro poliziotti entrò nel cortile del palazzo dove abitava il vicequestore Cassarà, dall’ammezzato di un edificio vicino, le cui finestre davano sul cortile interno, una decina di mafiosi armati di Kalashnikov fecero fuoco. Il vicequestore Cassarà e l’agente Antiochia morirono sul colpo, falciati da decine di proiettili. Un terzo agente venne gravemente ferito. Il quarto agente, l’assistente Natale Mondo, si salvò per miracolo riparandosi sotto alla vettura.

L'ALFETTA BLINDATA, di colore bianco, è appena entrata nel cortile del condominio di Via Croce Rossa, al civico 81, a due passi dalla Stadio comunale. Alla guida c'è Natale Mondo, al suo fianco, Ninni Cassarà. Alle spalle di Mondo, Roberto Antiochia. Il primo a scendere dall'auto è proprio Antiochia che poi apre lo sportello di Cassarà per coprirgli le spalle. Entrambi passano di fronte al cofano. Si scatena una tempesta di piombo. Cassarà è colpito a un braccio. Roba da nulla. Si lancia al volo verso i cinque scalini esterni. Capisce che se ce la fa a entrare, può salvarsi. Anche Antiochia scavalca i cinque scalini, ma è in quel momento che viene colpito mortalmente alla testa. E lì finisce la sua corsa.
Laura Cassarà, la moglie di Ninni, in quei giorni brutti è molto preoccupata, dorme poco, e telefona costantemente in Questura per sapere se tutto è a posto. Quel giorno è normale che sia affacciata al balcone con in braccio la figlia Elvira di due anni, all'ottavo piano. È in attesa del marito che rientra dal lavoro per una veloce pausa pranzo. Dopo dirà che in quel momento, udito il frastuono dei colpi, pensa che si tratti di una bomba. In realtà dal terzo, quarto e quinto piano del palazzo di fronte, a meno di trenta metri di distanza, vengono giù cascate di fuoco, raffiche di centinaia e centinaia di colpi di kalashnikov. Indirizzate verso il basso, ma, precauzionalmente, anche verso l'alto. Natale Mondo, che nel frattempo si è rannicchiato fra l'auto e l'ingresso della portineria, le urla di rientrare. All'esterno del condomino, intanto, una dozzina di uomini travestiti da militari, stanno deviando il traffico impedendo a chiunque di entrare in via Croce Rossa. Hanno persino le palette dei vigili urbani. Ninni Cassarà è finalmente dentro l’edificio. Con una sola falcata sopravanza un'altra piccola rampa, una decina di scalini. In quell'istante viene raggiunto da un altro colpo. Ma questa volta all'aorta. Laura si precipita giù per le scale, trascinandosi dietro la bambina che piange. Suona a ogni pianerottolo. Nessuno apre. Verso la fine della sua corsa, una porta finalmente si socchiude e un braccio caritatevole le strappa di mano Elvira, mettendola in salvo. Laura, che dal balcone ha visto com'è iniziata, e che Ninni si è tuffato dentro, è convinta di trovarlo vivo. Lo troverà invece morto, in un lago di sangue. A due passi, una rampa sotto, c'è Roberto Antiochia, uno degli angeli custodi di Ninni, fra i più fedeli. L'urlo delle sirene delle ambulanze e delle auto di legioni di poliziotti si protrae per un giorno intero. Disperazione, sgomento. Ma anche tante finte lacrime. Cominciò tutto alle 15 del 6 agosto 1985, una giornata di caldo africano. Finì tutto in una decina di minuti. Natale Mondo sopravvisse. Lo ammazzarono nel 1988 all'Arenella, mentre tirava su la saracinesca del negozio di giocattoli per bambini che aveva chiamato: “Il mondo dei balocchi”. Chi erano? Da tempo erano morti che camminavano. Da tempo erano segnati, non potevano salvarsi, e lo sapevano. […]
Chi era Ninni Cassarà? Un poliziotto moderno. Leggeva libri di storia, Portava gli occhiali, essendo miope. Gli piaceva il tennis. Aveva fatto il classico al Liceo Garibaldi, il migliore della città, e si era laureato a pieni voti in giurisprudenza. Era un intellettuale, espressione di una fragile borghesia che cercava di chiudere qualsiasi canale di collegamento con tutto ciò che di illegale era rappresentato proprio dai boss che aggredivano ogni forma di economia lecita. Con Laura si erano sposati nel ’72, quando lui aveva venticinque anni e lei ventitré. Cassarà aveva una memoria d'acciaio. Una concezione sacrale del lavoro di poliziotto: i delinquenti andavano arrestati. Sapeva cosa fossero le “prove”. Ci fu lui dietro i grandi successi del maxi processo.
Qualche data. Il 1972. Laurea in giurisprudenza, a Palermo, relatore Giuseppe Mirabella, docente di economia politica. Tesi: “Strategia economica degli Stati Uniti in campo internazionale”. Inizio della tesi: «L'intera storia americana è caratterizzata da una costante tendenza all'espansione: sete di terra, sete di nuovo, sete di grandezza, sete di potere». Conclusione, 250 pagine dopo: «È sufficiente sapere che l'esistenza di questi punti deboli (decisioni economiche, militari e finanziarie) crea nuove possibilità di mutamento in campo internazionale e in ogni caso porta in primo piano la lezione inesorabile della storia contemporanea: nessuna nazione può guidare i destini del mondo intero».
Entrò in polizia nel 1974, a 27 anni. Quando fu ucciso, ne aveva 38. Quale fu la sua stagione? Quelli erano gli anni dei primi pentimenti mafiosi di Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno. Gli anni della scoperta delle raffinerie in cui l'oppio, arrivato dall'Oriente, a Palermo diventava eroina purissima. La stagione del patto fra massoneria piduista e mafia. La stagione dell'uccisione di un altro grande poliziotto, Boris Giuliano, che Ninni Cassarà ebbe modo di conoscere, o di Dalla Chiesa, con il quale invece non fece in tempo a incontrarsi. Ma anche quelli del giudice Rocco Chinnici che lo stimava tanto.
Il settimanale L'Espresso (8 aprile 1984) titola: “A Palermo c'è un commissario che somiglia in tutto a quello della Piovra. Si chiama Antonino Cassarà, e al processo Chinnici ha detto molte cose sulla potente famiglia dei Salvo. Da allora è più solo che mai”. Verissimo. Cassarà rivela che Chinnici, prima di finire assassinato, aveva intenzione di arrestare i cugini Nino e Ignazio Salvo, espressione del più importante potentato economico e democristiano nella Sicilia di quegli anni. Piero Calderoni scrisse sul L'Espresso: «Il giorno dopo le dichiarazioni del commissario Cassarà, i Salvo si fanno vivi con un comunicato in cui denunziano “il grado di approssimazione col quale il dottore Cassarà porta avanti l'alimentazione dei sospetti”». Non è facile, in casi del genere, dire da quando dati l'isolamento. Certo che il rapporto scritto da Cassarà, insieme al carabiniere Angiolo Pellegrini, nell'estate 1981, contro il padrino dell'epoca, Michele Greco, e contro altri 161 imputati di mafia non gli aveva provocato amicizie nella città dei morti che camminano. Poi tutto precipitò. Il 29 luglio 1985, Giuseppe Montana, capo della “sezione catturandi”, fu assassinato a Porticello. Anche lui, a bordo dei Vespini 50 o di auto prese in prestito (quelle di servizio erano regolarmente sfasciate), si inerpicava con Cassarà e gli altri ragazzi della squadra in cima a Gibilmanna. Qualche giorno dopo quel delitto, venne arrestato un giovane di borgata, Salvatore Marino pesantemente coinvolto nel delitto. Entrò alla squadra mobile per un interrogatorio, ma la notte ne uscì cadavere. Torturato a morte, buttato in mare da un gruppo di poliziotti che architettarono una macabra messinscena fingendo poi il ritrovamento di un annegato. L'impressione fu enorme. Esplose l'affaire. Cassarà riuscì a dimostrare la sua estraneità. Altri suoi colleghi, invece, vennero rimossi in tronco da Oscar Luigi Scalfaro, che all'epoca era ministro degli interni. In una manciata di giorni, la Squadra mobile di Palermo fu azzerata. Il tam tam di mafia condannò a morte Cassarà. L'ultimo atto, al civico 81 di Via Croce Rossa.

Ninni Cassarà, un poliziotto moderno. Saverio Lodato, L’unità 6 Agosto 2005-