martedì 28 agosto 2012

28 Agosto 1980
Carmelo Jannì albergatore

Carmelo Jannì era [...] un imprenditore. “Un idealista che amava stare tra la gente” dicono di lui le persone che lo hanno conosciuto. Gestiva un hotel a conduzione familiare in un paesino in provincia di Palermo. Un bell’albergo, a ridosso del mare, in cui anche i famigerati chimici marsigliesi, che si occupavano della raffinazione della droga, misero piede nei terribili anni Ottanta. Fu per questo che la polizia chiese all’imprenditore il permesso di poterli spiare da vicino sotto copertura, come uomini del personale, e di accedere alle loro stanze per perquisirle. Quel senso dello Stato di cui si parlava prima, impose a Carmelo Jannì di accettare. Il 24 agosto 1980, gli stessi poliziotti fecero un blitz in una raffineria vicino Palermo e riuscirono ad arrestare anche il boss Gerlando Alberti, detto “u paccarè”. Quattro giorni dopo, il 28 agosto 1980, due uomini entrano nell’albergo di Carmelo, alle tre e trenta del pomeriggio, ma questa volta non sono poliziotti, sono mafiosi, killer che gli sparano al cuore e alla testa e lo lasciano morire sul pavimento della sua hall. “U paccarè” aveva dato l’ordine dal carcere e i suoi scagnozzi avevano eseguito.
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28 agosto 2010. 30 anni fa la mafia uccideva Carmelo Jannì. E’ difficile che oggi ne sentiate parlare nei tg. E’ difficile che oggi avvenga qualche commemorazione con le più alte cariche dello Stato. E' difficile che troviate un aeroporto, ma nemmeno una stazione, una villa, un giardino, uno stadio, una strada, un vicolo intitolato a Carmelo Jannì. Non era né un poliziotto, né un magistrato. Un cittadino. Ucciso dalla mafia perché aveva consentito ai poliziotti di infiltrarsi nel suo albergo per potere effettuare un’operazione che sarebbe poi andata a buon fine con l’arresto di un boss di spicco. E la mafia restituì la “cortesia”. Uccidendolo appena 4 giorni dopo quell’operazione.
Alle 15,30 del 28 agosto 1980, due uomini entrano in un albergo di Villagrazia di Carini. Nella hall c’è il proprietario. Gli sparano al cuore e alla testa. Carmelo Jannì muore così. Lasciando moglie e tre figlie, la più piccola di 11 anni.
E’ questo l’epilogo della storia di un eroe per caso. Una storia che inizia quando la Polizia chiede al signor Jannì di contribuire a un’azione investigativa. Nell’hotel gestito da Jannì, infatti, alloggiano alcuni chimici venuti da Marsiglia a Palermo per insegnare le tecniche di raffinazione della droga ai chimici locali.
La polizia aveva bisogno di potere seguire tutti i passi, tutte le conversazioni di quegli scienziati venuti dalla Francia. Potere perquisire le loro stanze. E c’era un modo solo. Travestirsi da personale dell’hotel, così da non potere dare nell’occhio.
Carmelo Jannì disse “si, va bene”. Senza sapere che mentre pronunciava quelle parole, pronunciava altresì la propria condanna a morte.
Perché la Polizia, dopo giorni di indagini, il 24 agosto 1980, fece un blitz in una villa di Trabia. Gli stessi poliziotti che si erano infiltrati nell’hotel trovarono la raffineria. Li arrestarono tutti. Con grande sorpresa degli stessi agenti, trovarono anche Gerlando Alberti senior, detto 'u paccarrè', il temuto boss della mafia.
E fu proprio il boss, dal carcere, a ordinare l’omicidio di Carmelo Jannì. Responsabile di avere agevolato la Polizia, in maniera determinante, nella propria attività di indagine.
Carmelo Jannì non aveva nessun dovere, se non quello morale. Probabilmente non sarà mai rappresentato come icona dell’antimafia. Probabilmente mai il suo nome verrà urlato nei cortei. Probabilmente mai la sua effige sarà stampata su una magliettina.
E nessuno, probabilmente mai, penserà di dedicargli un film.
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