mercoledì 29 agosto 2012

29 Agosto 1991
Libero Grassi 67 anni, imprenditore

Libero Grassi (Catania, 19 luglio 1924 – Palermo, 29 agosto 1991) è stato un imprenditore italiano, ucciso dalla mafia dopo aver intrapreso un’azione solitaria contro una richiesta di estorsione (conosciuta in Sicilia come “pizzo”), senza ricevere alcun appoggio, per il meritevole gesto, da parte delle associazioni di categoria.
Nella metà degli anni ’80 iniziano i problemi con la criminalità organizzata. Grassi riceve una telefonata di minacce alla sua incolumità personale, se non pagherà una certa somma a due emissari che gli presenteranno per riscuotere: egli rifiuta di pagare. La prima conseguenza del suo rifiuto è il rapimento di Dick, il cane lasciato a guardie degli stabilimenti della SIGMA, che verrà poi restituito in fin di vita.
Dopo poco tempo, due giovani a volto scoperto tentano di rapinare le paghe dei dipendenti della fabbrica: saranno identificati e arrestati grazie ad alcuni dipendenti di Grassi. Ma in cuor suo Libero sa che è solo l’inizio, poiché la sua azienda, terza leader italiana nel settore della pigiameria, con un fatturato di sette miliardi, non può non suscitare gli appetiti dei malavitosi palermitani.
Il 10 gennaio 1991 Libero Grassi fa pubblicare al “Giornale di Sicilia” una lettera nella quale motiva razionalmente il suo no all’ennesimo ricatto estorsivo: ”… Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore che non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia…...se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui”.
L’imprenditore rifiuta l’offerta di una scorta personale, ma consegna simbolicamente alle forze di polizia le quattro chiavi dell’azienda, chiedendo così protezione per gli stabilimenti della SIGMA.
Nel frattempo l’imprenditore viene contattato da Sandro Ruotolo, redattore di “Samarcanda”, che lo invita a RAI 3 per parlare della sua lotta condotta, purtroppo, nell’indifferenza degli industriali siciliani. La trasmissione dell’11 aprile 1991 è fondamentale nell’iter di contrapposizione al crimine che Grassi sta conducendo, perché rende il suo caso di dominio nazionale, quale emblema civile della lotta alla mafia. A questo punto rendendosi conto del ruolo che sta assumendo, dichiara con forza a Santoro: “Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi”.
Libero Grassi viene assassinato il 29 agosto 1991 alle ore 7:30 del mattino.
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29 agosto 2010. Sono le sette e mezzo del mattino del 29 agosto 1991. Un uomo sulla settantina esce di casa e, come ogni giorno, si incammina verso la sua azienda di biancheria, la Sigma. È un imprenditore noto, amato e temuto dai suoi dipendenti, uscito alla ribalta grazie a qualche trasmissione televisiva che ha raccontato la sua storia e ad alcune lettere pubblicate sui giornali che sono lì, a testimonianza delle sue battaglie. La fama non gli ha portato la felicità, tantomeno gli ha attirato addosso l’invidia della gente. Puoi essere felice e invidiato se sei un calciatore, un attore, un uomo di spettacolo, ma se la tua fama è legata all’opposizione alla mafia, diventi un “famoso” al contrario: nessuno ti cerca, la maggior parte delle persone ti evita. Ma quell’uomo non si ferma, continua a camminare a testa alta, a difendere strenuamente e con orgoglio la propria libertà dalle prepotenze mafiose.
Continua a camminare, finché due uomini non lo raggiungono, gli si avvicinano, tirano fuori una pistola calibro 38 e gli sparano addosso quattro colpi. Quel corpo che ora giace inerme a terra, era appartenuto ad un uomo coraggioso, intelligente e battagliero; un uomo che si chiamava Libero.
Questi nacque a Catania il 19 luglio 1924 e visse la maggior parte della sua adolescenza a Palermo, prima di trasferirsi a Roma durante gli anni della guerra. Appartenente ad una famiglia antifascista, anch’egli dimostrò una profonda avversione nei confronti del regime di Benito Mussolini e nei confronti della politica nazista e antisemita. Per questo, dopo essersi iscritto alla facoltà di Scienze Politiche, entrò in convento come seminarista, per sfuggire alla guerra ed evitare di servire gli ideali di uomini folli. Nel ’45 tornò con la famiglia a Palermo e conseguì la laurea in Legge e, sebbene volesse intraprendere una carriera di diplomatico, prese in mano le redini dell’attività imprenditoriale di famiglia.

Tuttavia, un imprenditore a Palermo è soggetto ad una tassa in più da pagare; una tassa che non gli impone lo Stato, ma la mafia: il pizzo. E così arrivarono le prime richieste da parte degli esattori di Cosa nostra. Il lungo calvario iniziò negli anni Ottanta con una telefonata di un certo “zio Stefano”, che pretendeva cinquanta milioni di lire. Libero risponde di no, così “ignoti” ladri entrarono nella sua azienda e gli rubarono gli stipendi destinati agli operai, per un totale, neanche a farlo apposta, di cinquanta milioni. Arrivarono nuove richieste e nuove minacce, finché Libero non decise di prendere carta e penna e scrive una lettera, pubblicata sul “Giornale di Sicilia” il 10 gennaio 1991, diretta al suo estorsore, che iniziava così: “Volevo avvertire il nostro ignoto estorsore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia.”
Il giorno dopo giornalisti e poliziotti si presentarono sotto casa sua e sulla porta delle aziende commerciali, così quel piccolo imprenditore diventò un simbolo della lotta all’estorsione e l’incarnazione vivente del sogno di una Sicilia libera dalle prepotenze mafiose.
Libero di nome e di fatto, quando gli chiedevano se avesse paura di eventuali ritorsioni da parte di Cosa nostra, rispondeva: “Paura? E perché? La paura fa il gioco della mafia. Bisogna avere il coraggio di fare scelte precise, di decidere da che parte stare. E non farsi cogliere da sentimenti irrazionali.” Eppure la punizione della mafia non si fece attendere e, il 29 agosto 1991, due sicari lo uccisero brutalmente sulla strada che lo portava al lavoro.
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