mercoledì 1 maggio 2013

la strage di Portella della Ginestra

1 Maggio 1947, La Strage di Portella della Ginestra
Margherita Clesceri
Giorgio Cusenza
Giovanni Megna 18 anni
Francesco Vicari
Vito Allotta 19 anni
Serafino Lascari 15 anni
Filippo Di Salvo 48 anni
Giuseppe Di Maggio 13 anni
Castrense Intravaia 18 anni
Giovanni Grifò 12 nni
Vincenza La Fata 8 anni

Il 1º maggio 1947, nell’immediato dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si riunirono nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte, e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell’anno e nelle quali la coalizione PSI – PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).
Sulla gente in festa partirono dalle colline circostanti numerose raffiche di mitra che lasciarono sul terreno, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate. La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”.
Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano, colonnello dell’E.V.I.S. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento ad “elementi reazionari in combutta con i mafiosi locali”.
Nel 1949 Giuliano scrisse una lettera ai giornali, in cui affermava lo scopo politico della strage. Questa tesi fu smentita dall’allora ministro degli Interni Mario Scelba. Nel 1950, il bandito Giuliano fu assassinato dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, il quale morì avvelenato in carcere quattro anni più tardi, dopo aver affermato di voler rivelare i nomi dei mandanti della strage. Attualmente vi sono forti dubbi sul fatto che Pisciotta fosse l’autore dell’omicidio, come è stato fatto osservare nella trasmissione Blu notte ed emerge dal lavoro di Alberto Di Pisa e Salvatore Parlagreco.

11 persone furono uccise e 27 persone rimasero ferite.

Tra i morti del primo maggio c'è anche il campiere Emanuele Busellini, ucciso dai banditi della banda Giuliano che l'avevano incontrato lungo la strada per recarsi sul luogo della strage.
Fonte

Il dopoguerra si apre, nel 1947, con la strage politico-mafiosa di Portella della Ginestra: 11 persone (9 contadini e 2 bambini) muoiono ammazzate e 27 rimangono ferite durante la pacifica festa del Primo Maggio, all'indomani delle prime elezioni regionali siciliane che hanno visto il Blocco del Popolo (Pci e Psi) trionfare col 29,13% sulla Dc (20,52%). L'allarme rosso in vista delle elezioni politiche del 1948 produce quella che gli storici chiamano la «strage dissuasiva». Le indagini accerteranno che a sparare è stata la banda di Salvatore Giuliano, ma che i mandanti sono politici, e che con questi ultimi il bandito ha avuto rapporti prima e dopo l'eccidio tramite alcuni capimafia, agenti governativi ed esponenti dei servizi segreti italiani e americani.
Quando Giuliano intuisce che i suoi referenti lo stanno scaricando, anzi mirano a «bruciarlo» dopo averlo usato con la promessa dell'impunità, tenta di ricattarli inviando lettere e documenti ai giornali. Il 24 novembre 1948 lancia un messaggio ai parlamentari siciliani della Dc: «Nelle nostre zone non si è votato che per voi e così noi abbiamo mantenuto le nostre promesse, adesso mantenete le vostre». Girolamo Li Causi, senatore comunista, lo invita a fare i nomi dei suoi mandanti. Il bandito gli risponde con una lettera autografa all'«Unità», pubblicata il 30 aprile 1950: «Scelba vuoi farmi uccidere perché io lo tengo nell'incubo per fargli gravare grandi responsabilità che possono distruggere tutta la sua carriera politica e financo la vita».
Intanto uno dei suoi uomini, Giovanni Genovese, il 29 gennaio 1949 racconta al giudice istruttore di Palermo un fatto di cui è stato testimone oculare: alcuni giorni prima della strage, Giuliano aveva ricevuto una lettera che gli commissionava l'eccidio. Non è una millanteria, ma un fatto accertato dalla sentenza della Corte d'Assise di Viterbo su Portella della Ginestra, in cui si legge: «Che la lettera abbia una qualche relazione con il delitto che, a distanza di qualche giorno, fu consumato da Giuliano e dalla banda da lui guidata, pare alla Corte non possa essere posto in dubbio». Le indagini appureranno anche una trattativa segreta dopo la strage: Giuliano chiede la scarcerazione di alcuni parenti arrestati e l'impunità per sé, con la garanzia dell'espatrio e di una congrua somma di denaro. Ottenute queste garanzie, il 20 giugno 1950 firma un memoriale in cui si dichiara unico responsabile dell'eccidio di Portella. Un errore fatale, che lo priva dell'ultima arma di ricatto e fa di lui un morto che cammina. In Sicilia sono in molti a prevedere che Giuliano farà presto una brutta fine. Alberto Jacoviello, in un reportage da Montelepre intitolato Giuliano sa tutto e per questo sarà ucciso, scrive sull'«Unità»:
Giuliano conosce esecutori e mandanti. E qui il gioco diventa grosso. Giuliano comincia a sapere troppe cose. Se lo prendono, parla. Messana, l'ispettore di polizia, non lo prenderà. Oppure lo prenderà in certe condizioni. Morto e con i suoi documenti distrutti, se ne ha.

E così puntualmente avviene. Poco tempo dopo, nella notte tra il 4 e il 5 luglio 1950, Giuliano viene assassinato nel sonno dal cugino e luogotenente Gaspare Pisciotta: omicidio su commissione, in cambio dell'impunità. I carabinieri sono sul luogo del delitto prim'ancora che venga perpetrato, assistono alla scena, poi trasportano il cadavere altrove per simulare un tragico conflitto a fuoco fra loro e Giuliano. È questa, infatti, la versione ufficiale dei fatti fornita dall'Arma in un rapporto totalmente menzognero. Ma la messinscena viene presto smascherata da un grande giornalista, Tommaso Besozzi.
Anche Pisciotta, però, viene scaricato e arrestato in barba alle promesse. E, sentendosi ingannato, decide di vuotare il sacco al processo di Viterbo. Il 16 aprile 1951, davanti a una folla di giornalisti, fa i nomi dei mandanti politici della strage e racconta per filo e per segno tutti gli incontri e le trattative fra banditi e uomini delle istituzioni, con tanto di promesse di impunità. Le sue clamorose rivelazioni, però, cadono nel vuoto. Dinanzi a quella mole di notizie di reato, il pubblico ministero viterbese finge di non sentire e non avanza nessuna richiesta al giudice di procedere contro i possibili mandanti politici. Un comportamento talmente scandaloso da indurre la Corte d'Assise a prenderne apertamente le distanze nella motivazione della sentenza:
Non è la Corte investita del potere di esercitare l'azione penale. Essa è un organo giurisdizionale il quale conosce di un reato in base a sentenza di rinvio, ovvero in base a richiesta di citazioni, e non può trasformarsi in organo propulsore di quelle attività che sono proprie di altro organo, il Pubblico Ministero.
Li Causi tenta di rilanciare lo scandalo almeno a livello politico, con un appassionato discorso al Senato in cui punta il dito contro il ministro degli Interni Mario Scelba. È il 26 ottobre 1951:
Perché avete fatto uccidere Giuliano? Perché avete turato questa bocca? La risposta è unica: l'avete turata perché Giuliano avrebbe potuto ripetere le ragioni per le quali Scelba lo ha fatto uccidere. Ora aspettiamo che le raccontino gli uomini politici, e verrà il tempo che le racconteranno.
Ma anche le sue parole cadono nel vuoto. Come pure gli appelli di Pisciotta. che dal carcere chiede una commissione parlamentare d'inchiesta. Il 10 ottobre 1952 scrive al presidente della Corte d'Assise:
Faccio appello fin da ora a tutti i signori sottonotati [segue elenco di nomi di varie persone coinvolte nella strage, tra cui importanti esponenti politici, N.d.A.] che è giunto il momento in cui dovranno assumere le loro responsabilità, perché io non mi rassegnerò mai e continuerò a chiederlo sino all'ultimo respiro [...] desidero sempre una inchiesta parlamentare.
Un'altra lettera morta. Di lì a poco anche Pisciotta, testimone scomodo dei crimini del potere, sarà messo a tacere per sempre: il 9 febbraio 1954, nel carcere dell'Ucciardone, con un caffè corretto alla stricnina. Dopo di lui, l'uno dopo l'altro, muoiono assassinati o suicidati tutti i depositari dei segreti di Portella: i banditi intermediari tra Giuliano e le forze dell'ordine, i testimoni degli incontri più compromettenti, l'ispettore di Polizia che aveva tenuto i contatti. L'uomo sospettato di aver procurato il veleno per Pisciotta viene trovato morto nella sua cella dell'Ucciardone. Il procuratore capo di Palermo Pietro Scaglione, l'ultimo magistrato che aveva raccolto le rivelazioni di Pisciotta poco prima dell'avvelenamento, senza metterle a verbale, verrà assassinato anni dopo, nel 1971, portandosi nella tomba quegli indicibili segreti.
Scrive Leonardo Sciascia nel libro Nero su nero:
Chi non ricorda la strage di Portella della Ginestra, la morte del bandito Giuliano, l'avvelenamento in carcere di Gaspare Pisciotta? Cose tutte, fino ad oggi, avvolte nella menzogna. Ed è da allora che l'Italia è un paese senza verità. Ne è venuta fuori, anzi, una regola: nessuna verità si saprà mai riguardo ai fatti delittuosi che abbiano, anche minimamente, attinenza con la gestione del potere.
Saverio Lodato, Margo Travaglio, Intoccabili

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