mercoledì 27 febbraio 2013

27 Febbraio 1985
Pietro Patti 47 anni, imprenditore

PALERMO - "Non faccia il furbo, ingegnere. Non ha scampo: deve pagare mezzo miliardo. E ricordi, le abbiamo distrutto capannone e macchina, ma questa volta le faremo saltare il cervello". Pietro Patti, quarantasette anni, proprietario di un' industria alimentare, non voleva crederci. "Pensava che non avrebbero mai osato tanto", ha raccontato la moglie Angela Pizzolo ai funzionari della squadra mobile. E invece la mafia dell' estorsione ha mantenuto la promessa. Ha ucciso senza pietà "un industriale che aveva cercato di fare di testa propria osando trattare sul prezzo imposto dal racket". Ha ucciso con ferocia inusitata colpendo Pietro Patti davanti agli occhi terrorizzati delle sue quattro figlie (una è rimasta gravemente ferita ma forse si salverà) e lanciando un monito a quanti speravano di poter sganciare le loro imprese dai controlli dalle "protezioni" di Cosa nostra, utilizzando il momento di sbandamento degli uomini della piovra mafiosa. E così, a cinque giorni appena dall' assassinio dell' ingegnere Roberto Parisi, presidente della Palermo calcio, titolare di una finanziaria che controlla sei società e vicepresidente della Sicindustria, la mafia si è ripetuta. Pietro Patti come ogni mattina aveva lasciato la sua villa che guarda il mare di Mondello per accompagnare a scuola in via Marchese Ugo nel cuore della Palermo bene le quattro figlie: Francesca, sei anni, Gaia, nove anni, Raffaella, quattordici anni e Alessandra diciassette anni. Ha avuto appena il tempo di spegnere il motore della 127 e un giovane killer gli ha puntato una calibro 38 alla tempia, premendo tre volte il grilletto. Una pallottola ha attraversato la testa dell' industriale, si è conficcata nel torace di Gaia che stava aprendo lo sportello per scendere e varcare l' ingresso dell' Istituto Ancelle, uno dei più esclusivi della città. Sono stati momenti drammatici. Pietro Patti è rimasto incollato al sedile della vettura con il capo reclinato indietro, mentre il killer faceva pochi metri, saltava su uno scooter guidato da un complice che lo attendeva con il motore acceso, facendo perdere ogni traccia. Pochi minuti e il portone delle Ancelle si è aperto. Il custode ha fatto scendere dall' auto le figlie dell' industriale, ma Gaia aveva gli occhi vitrei, non si reggeva in piedi, perdeva sangue. E' stata soccorsa e trasportata all' ospedale Villa Sofia dove è stata sottoposta immediatamente ad intervento chirurgico. La pallottola aveva mandato in frantumi la sesta costola e le schegge avevano leso il polmone. Adesso è in rianimazione, ha ripreso conoscenza e i medici sperano di salvarla. Le indagini sono apparse immediatamente difficili. In cinque giorni gli investigatori si sono ritrovati tra le mani i cadaveri di due imprenditori morti probabilmente perchè avevano tentato di sottrarsi con modalità ed obiettivi differenti, alle imposizioni di Cosa nostra. Gli inquirenti, grazie anche alla testimonianza della moglie Angela Pizzolo, hanno stabilito un legame di affari tra Parisi e Patti. Il punto di contatto era la costituzione di una società per la creazione di uno stabilimento nella zona di Brancaccio, ad est della città, dove Patti già possedeva i suoi impianti per la lavorazione della frutta secca (mandorle, nocciole, pistacchi da spedire in tutto il mondo). Le trattative erano in corso e adesso polizia, carabinieri e magistratura stanno verificando se possa ipotizzarsi un legame più stretto tra i due omicidi. La pista più convincente però appare quella del racket delle estorsioni. Gli industriali che operano a Brancaccio da sempre fanno i conti con la mafia del "pizzo", pagando tangenti sempre più esose. Angela Pizzolo ha ricostruito assieme ai funzionari della Squadra mobile le prime richieste arrivate nell' estate del 1982 quando la mafia di corso dei Mille decise di aprire una vera e propria "sottoscrizione" tra gli imprenditori della zona. Mediamente la richiesta si aggirava attorno al mezzo miliardo. In molti hanno pagato, ma l' ingegnere Pietro Patti si era sempre rifiutato di cedere alle pressioni mafiose. Ed era andato oltre: aveva presentato denuncia contro ignoti per i ripetuti tentativi di estorsione e nel 1983 aveva anche raccontato tutto ai magistrati. Poi, però, aveva ritirato l' esposto. Nel frattempo l' industriale aveva cercato di ridurre il prezzo della tangente, ma erano arrivati i primi segnali inquietanti: una bomba aveva devastato i capannoni dove viene lavorata la frutta secca, poi proprio sotto gli occhi dell' imprenditore la mafia aveva fatto saltare per aria la sua jeep Toyota. "Sapevamo di essere nel mirino", ha raccontato Angela Pizzolo agli investigatori. "Io guardavo sempre intorno, notavo le automobili che ci seguivano, le facce strane che misteriosamente incontravamo più volte in vari punti della città nella stessa giornata. Ma Pietro diceva che non bisognava perdere la calma. Evidentemente sbagliava". Adesso a Palermo c' è chi teme che questo sia l' inizio di una nuova spirale di violenza destinata a ristabilire le vecchie regole del gioco imposte dalla mafia e incrinate dai recenti successi delle forze di polizia e della magistratura. Gli industriali erano stati tra i primi a voler tentare strade coraggiose sganciandosi dalla vecchia logica del "pizzo" e delle tangenti. E sono stati immediatamente colpiti. "Adesso gli imprenditori siciliani e palermitani vivono questi tragici avvenimenti nello sgomento e nell' incertezza", dice Salvino Lagumina, presidente della Sicindustria. "Sono il segnale del precipitare della situazione nonostante la maggior presenza dello Stato al quale però va chiesto un impegno straordinario per garantire che i cittadini possano vivere e lavorare liberamente". - di GIUSEPPE CERASA
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