domenica 27 maggio 2012

La mafia e la stagione delle stragi

La mafia e la stagione delle stragi
di Antonio Ingroia
L’Unità, 27 Settembre 2007

È un dato ormai assodato che lo stragismo è una strategia ricorrente nella storia della mafia siciliana, che se ne è servita soprattutto nei momenti di crisi, a volte interni all'organizzazione, ma più spesso di crisi del sistema di potere tutelato dalla violenza mafiosa. Ne fu espressione, nel secondo dopoguerra, la strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947, reazione alla crisi del sistema latifondista sotto la pressione delle lotte contadine per le terre e della battaglia per la riforma agraria, istanze di giustizia sociale che andavano respinte e represse nel sangue con un atto brutale di riaffermazione del potere mafioso e della sua violenza intimidatrice: una strage indiscriminata come fu quella di Portella. Ma la strategia stragista del biennio terribilis '92-'93 ha caratteristiche originali rispetto al passato, quasi uniche.

Innanzitutto, per la successione cronologica, così ravvicinata fra attentati di così ampia portata. E perciò va ricordata quella tremenda successione. La stagione ha il suo prologo nell'omicidio dell'on. Salvo Lima, chiacchierato uomo politico, eurodeputato democristiano e capo della corrente andreottiana in Sicilia, che il 12 marzo 1992, alla vigilia delle elezioni politiche, viene assassinato a Palermo. Il 23 maggio viene portata ad esecuzione la strage di Capaci nella quale perdono la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. Il 19 luglio viene eseguita la strage di via D'Amelio nella quale vengono uccisi il Procuratore Aggiunto presso la Procura di Palermo, Paolo Borsellino, e gli agenti della sua scorta. Il 17 settembre viene assassinato da un commando di killer Ignazio Salvo, tradizionale interfaccia di Cosa Nostra con il mondo della politica, in particolare con l'on. Salvo Lima, già ucciso sei mesi prima. A questo punto, la strategia si estende nel resto del continente, con una nuova stagione di attentati che si apre il 14 maggio 1993 con l'esplosione a Roma, in via Fauro, di un'autobomba destinata a colpire il conduttore televisivo Maurizio Costanzo. Il 27 dello stesso mese, a Firenze, un furgoncino imbottito di esplosivo salta in aria in via dei Georgofili: cinque morti, 29 feriti e danni alla celebre Galleria degli Uffizi. A due mesi esatti di distanza, a Milano, un'altra autobomba, in via Palestro, miete cinque vittime e pochi minuti dopo, in una giornata di fuoco, a mezzanotte, altre due autobombe esplodono a Roma, in Piazza San Giovanni in Laterano, sede del Vicariato cattolico, e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro: dieci feriti.

Peraltro, per avere un quadro globale della gravità della situazione che si era venuta a determinare per l'ordine pubblico e democratico, va considerato che la strategia prevedeva l'attuazione di altri progetti delittuosi, scoperti solo successivamente, e che non furono portati ad esecuzione solo per circostanze fortuite. In particolare, nel settembre 1992, dopo la strage di via D'Amelio, Cosa Nostra aveva progettato di uccidere il magistrato Pietro Grasso, già giudice a latere della Corte d'Assise che emise la sentenza di condanna di primo grado del maxiprocesso. Nel medesimo periodo, Cosa Nostra aveva deciso di uccidere anche Claudio Martelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia, così come altri uomini politici (fra cui l'on. Calogero Mannino, l'on. Carlo Vizzini, l'on. Claudio Fava) e funzionari di polizia come Arnaldo La Barbera e Calogero Germanà. Soltanto l'attentato di quest'ultimo venne posto in esecuzione, ma il dirigente del commissariato di Mazara del Vallo grazie alla sua pronta reazione sfuggì all'agguato mafioso effettivamente tesogli il 14 settembre 1992. Al culmine della strategia stragista del '93, sul finire del 1993, e quindi in epoca immediatamente successiva agli altri attentati posti in essere nel continente (Roma, Firenze e Milano), era stata organizzata una strage di proporzioni immani per fare saltare in aria alcuni pullman dei carabinieri in servizio a Roma allo stadio Olimpico in una delle tante domeniche di calcio particolarmente affollate, attentato fallito soltanto per un guasto tecnico al telecomando che avrebbe dovuto innescare l'ordigno.

Questa è l'impressionante sequela di attentati in rapida successione ed espansione, fino all'improvvisa battuta d'arresto della fallita strage dell'Olimpico, poi mai più eseguita per ragioni non del tutto chiarite. Una serie impressionante e senza precedenti, così come senza precedenti nella storia della mafia è anche la scelta degli obiettivi degli attentati: specie nella seconda fase della strategia, quella estesa al continente, nel momento in cui si passa dagli attentati alle persone, nemici ed ex-alleati, agli attentati alle cose, ai beni artistici e monumentali, scelta del tutto inusuale ed avulsa dalla tradizione di Cosa Nostra.(...)

Quello che poi è accaduto è cronaca e attualità più che storia. Il delirio di onnipotenza dei Corleonesi viene definitivamente accantonato e la mafia torna nei ranghi e nei confini della tradizione. Provenzano comprende bene lo «spirito dei tempi» e adegua le strategie mafiose, attuando il «traghettamento» dalla mafia delle stragi alla mafia degli affari. Il che consente all'organizzazione di recuperare consenso sul territorio, rapporti con la politica locale e convivenza con il quadro politico ed economico nazionale.

Il traghettamento alla mafia finanziaria comporta la stabilizzazione dei rapporti con la politica ed i potentati locali per il più efficiente drenaggio delle risorse pubbliche, e il consolidamento dei rapporti instauratisi negli anni della trattativa con spezzoni significativi del quadro politico nazionale per la realizzazione di una politica di convivenza, copertura e agevolazione, che ha il suo definitivo completamento nel processo di inserimento della mafia finanziaria nel fenomeno più ampio della globalizzazione economica, ove diventa più facile la reciproca integrazione fra economia legale ed economia illegale. (...)

Nel frattempo, però, i mafiosi, evidentemente comprendendo che il ricorso alla violenza rivolta verso l'alto aveva avuto effetti boomerang, sono passati dallo stragismo all'inabissamento e si è così aperta l'accennata stagione della tregua.
Sicché, una volta cessati i grandi delitti e le stragi, si è subito registrato un nuovo calo di tensione nel mondo politico-istituzionale, che ha avuto per effetto la profonda revisione della legislazione d'emergenza sia in materia processuale sia nella disciplina del fenomeno dei collaboratori, che ha decisamente indebolito l'efficienza dello strumentario antimafia a disposizione della magistratura. Con l'effetto che anche la verità su quella stagione stragista si è allontanata, perché quei passi indietro, quella profonda revisione degli strumenti a disposizione dei magistrati intervennero proprio mentre la magistratura sembrava alle soglie della verità su quella torbida ed oscura stagione, così come - peraltro - era già avvenuto a Falcone e Borsellino, rendendo tutto più difficile. Su quella stagione sembra gravare una congiura del silenzio, sintomo di una palese remora a fare i conti con la parte più oscura ed imbarazzante della storia della Repubblica.

La c.d. Seconda Repubblica ha i propri pilastri affondati nel sangue di quella stagione stragista, è lì che ha edificato le proprie fondamenta, sul sangue versato da tanti uomini dello Stato e cittadini comuni. Dimenticarne il sacrificio sarebbe condannarci ad un futuro meno libero e consapevole. Purtroppo è proprio ciò che è già accaduto alle origini della Prima Repubblica, alle origini di questa democrazia, nell'immediato dopoguerra, contrassegnato dal sangue di altri innocenti uccisi in un'altra strage di mafia, quella di Portella della Ginestra, rimasta anch'essa con zone d'ombra mai chiarite. Anche in quel caso la parte oscura è quella dei patti inconfessabili, della dialettica fra Stato e mafia.

Fin quando ciascuno, per la propria parte di responsabilità, non farà di tutto perché la verità, tutta la verità venga a galla, la democrazia italiana non potrà mai diventare una democrazia matura perché resterà ostaggio di quei poteri criminali che ne hanno condizionato le origini e la storia.