Oggi il fuoco tace.
Ne approfitto per postarvi un'intervista a Giovanni Falcone di Saverio Lodato.
Non è facile reperirla: si trova in rete solo sulla versione pdf dell'Unità e trascritta (con qualche errore) in un forum.
Spero di farvi piacere.
Intervista a Giovanni Falcone. “Il controllo del territorio determina anche pesanti condizionamenti dell’elettorato”
“È la mafia a imporre i giochi alla politica”
di Saverio Lodato, L’Unità, 29 Ottobre 1990.
PALERMO
- “La situazione è satura, si rischia di oltrepassare il limite di
guardia. L’ho detto e continuo a ripeterlo. C’è il rischio che
subentrino la sfiducia, la rassegnazione, la demotivazione. Elementi che
sarebbero ben più gravi dell’attuale indignazione. Sì: i magistrati
sono indignati. E sono indignati perché non sono più disposti ad esporsi
eternamente al tiro al bersaglio. Com’è accaduto, ultimo di una fila
davvero ormai troppo lunga, al collega Rosario Livatino. Ma dire questo
non significa che i magistrati devono pretendere da qualcuno, per fare
fino in fondo la loro parte, garanzie di sopravvivenza. Se questa è una
guerra, in questa azione di contrasto con i poteri criminali, può
accadere che fra le fila dei giudici si registrino delle perdite. Ma il
punto è un altro: le uccisioni dei giudici non possono verificarsi per
l’insipienza e l’inadempienza del potere politico. Ed è esattamente
quello che è accaduto fino ad oggi”.
Giovanni Falcone, come tanti
suoi colleghi, è anche lui indignato. Giudica il rapporto mafia-politica
come la principale jattura con la quale la sua categoria sia oggi
costretta a fare i conti.
Ma
quanto pesano, per adoperare le sue parole, insipienza e inadempienza
del ceto politico nella falcidia di giudici onesti e coraggiosi?
“In maniera determinante”.
Falcone
raramente è solito gridare “al lupo al lupo”. Preferisce interventi
tecnici. Tutti giocati all’interno del suo specifico campo di
competenze. E a volte guarda con una punta di insofferenza ai colleghi
più giovani che gli danno forse l’impressione di non reggere all’impatto
con una condizione difficile, quella del magistrato che, quasi per
definizione, si trova in trincea. Ma questa volta è proprio lui ad
adoperare un registro diverso.
Ascoltiamo queste sue affermazioni.
“Ma
perché ci meravigliamo? Per anni e anni, in questo Paese, si è perfino
negato che esistesse la mafia. Quando alcuni magistrati, a prezzo di
enormi sacrifici individuali, hanno dimostrato, al di là di ogni
ragionevole dubbio, che la mafia esisteva, è nata subito una favola
avallata dalla Cassazione. Cosa raccontava la favola? La favola
raccontava dell’esistenza di una pretesa nuova mafia, costituita
comunque solo da organizzazioni criminali, che era sorta sulle ceneri di
quella vecchia, che invece era stata buona, innocua e cara. A quella
favola ne fece seguito subito un’altra. Una vera e propria corrente di
pensiero, secondo la quale questa nuova mafia, era diventata ormai tanto
forte e potente da poter fare tranquillamente a meno dei suoi legami
con la politica”.
Mafia dunque
coccolata, tenuta all’ingrasso, adottata dal potere politico italiano da
almeno quattro decenni. Ma Falcone da parecchio tempo dà a qualcuno
l’impressione di essere monotematico perché non perde occasione di
ripetere che il “terzo livello” non esiste. Dottor Falcone, sta
cambiando opinione sull’argomento?
“Proprio per niente.
L’espressione “terzo livello” è una schematizzazione concettualmente
rozza e riduttiva di qualcosa di ben più articolato, grave e
inquietante, di quanto si pensi comunemente. Qualcuno è liberissimo di
ritenere che l’espressione “terzo livello” sia una formula magica,
propagandisticamente efficace. Io sono libero di non pensarla allo
stesso modo. E ritengo, invece, ben più inquietante, ben più gravida di
conseguenze immediate, l’affermazione che esiste una mafia che, proprio
in quanto tale, in quanto mafia, che differisce quindi dalla semplice
organizzazione criminale, detta le regole del gioco alla politica. Ma
forse si preferisce non capire”.
Ma il fatto che la mafia detta le regole del gioco della politica è acquisizione recente?
“Nient’affatto.
Sperando che nessuno si scandalizzi le dico che non c’è niente di nuovo
sotto il sole. Non dovremmo mai dimenticarlo, e invece spesso lo
dimentichiamo: caratteristica essenziale della mafia è il controllo del
territorio. Ciò si traduce anche nel condizionamento dell’elettorato,
con il risultato che il nodo mafia politica resta inalterato. Se questa
sembra una visione rassicurante…”.
E
da dove cominciare per recidere il cordone ombelicale tra politica e
mafia? Cosa possono fare i giudici? E cosa non è umanamente legittimo
pretendere?
“I giudici possono, hanno il dovere di impegnarsi
nella loro attività. Ma non sarà mai un’attività esaustiva. Nella
nostra assemblea di sabato a Palermo qualche collega ha detto che noi
magistrati diamo l’impressione di voler svuotare il mare armati di
bicchiere. Verissimo. Ma è altrettanto vero, come ha detto il collega
Armando Spataro, che proprio questo è il nostro compito. In altri
termini: è da rifuggire, al nostro interno, la tentazione di chi,
additando le inadempienze altrui, può suggerire alibi, anche se magari
inconsapevolmente, per le proprie inadempienze”.
Non
vede il rischio di scaricare sulle fragili spalle dei giudici un
fardello che lei stesso, prima, avvertiva pesante come un macigno?
“No.
Proprio perché resto del parere che il problema dei problemi è il nesso
tra mafia e politica sono anche convinto che spetti al parlamento
reciderlo. Ma spetta anche alla società che, esprimendo i suoi
rappresentanti al Parlamento, deve costringere i propri eletti a fare il
loro dovere”.
Lei come vede l’eventuale riforma elettorale?
“Mi
consenta: questi problemi non ci riguardano. E non credo che l’opinione
del cittadino Giovanni Falcone interessi alla gente. Non è compito dei
giudici elaborare e presentare disegni di legge. Il che, però, non
significa che non possano mettere a disposizione il loro bagaglio
tecnico e professionale anche su questi argomenti. Sono quindi a
disposizione del potere politico, ma di un potere politico che desse
concreti segnali di voler voltare pagina. Cosa abbiamo detto se non
questo nell’assemblea di sabato? Ci siamo espressi per una sessione del
Parlamento che affronti i problemi della giustizia. In altre parole
abbiamo detto più o meno al potere politico: se ci sei batti un colpo.
Ora siamo in attesa”.
E di questo governo Andreotti che valutazione da Giovanni Falcone?
“Non
intendo avventurarmi in giudizi di natura politica, meno che mai in
giudizi su singole persone. Credo che nostro compito di magistrati sia
quello di costringere qualsiasi governo, qualsiasi Parlamento, a fare la
loro parte. Le fughe in avanti sono bellissime, ma sono pur sempre
delle fughe dalle proprie responsabilità. D’altra parte io sono convinto
che tutti i governi italiani dal dopoguerra ad oggi, nessuno escluso,
si sono manifestati inadeguati rispetto a questo fenomeno. Di questa
realtà prendiamo atto”.
Avviandoci alla conclusione. Lei è durissimo con il potere politico ma non risparmia qualche bacchettata anche ai colleghi?
“Questa
rappresentazione non la condivido. La durezza non è mia. Appartiene a
tutte le componenti ideali della magistratura. Ma siccome la
magistratura, in questo momento, è scossa dall’enormità dei problemi da
affrontare, dalle novità introdotte dal nuovo codice che rivoluziona
totalmente il lavoro mentre la carenza di mezzi e uomini resta quella di
sempre, in una parola dallo sfascio della giustizia, la magistratura,
dicevo, può cedere alla sindrome del fortino accerchiato. E attraversare
come sta avvenendo, una forte crisi di identità. Si ha il sospetto che
vi sia una ben orchestrata regia volta a far ricadere le colpe dello
sfascio alla giustizia, esclusivamente sui magistrati. Ma tutto ciò non
deve valere per negare indubbie carenze di professionalità, e certe
cadute di tono che sono sotto gli occhi di tutti. La mia preoccupazione è
che accentuando i toni della protesta, il potere politico ne possa
approfittare per non porre mano ai problemi della magistratura,
indicandola come l’unica responsabile di tutto. Sono pericoli che vanno
scongiurati”.
Si riferisce a Felice Lima, il giudice
di Catania diventato un po’, in queste assemblee di Agrigento e Catania
prima, e Palermo dopo, un Masaniello con un ottimo seguito tra i suoi
colleghi?
“No, per carità. La definizione giornalistica di
Masaniello gli farebbe torto. Lima esprime una situazione che è sentita
da tutti noi. Forse saranno i toni, gli accenti, a distinguerlo rispetto
ad altri. Ma i contenuti dei suoi interventi sono quelli di tutti, né
più né meno. E poi, gli atteggiamenti populistici non pagherebbero. Non
dobbiamo mai dimenticare, lo dico a me stesso innanzitutto, che siamo e
dovremo continuare ad essere pezzi dello Stato. Se no che giudici
saremmo?”.
Può forse interessare alla gente l’opinione del cittadino Giovanni Falcone su questa Italia dei Misteri.
“Certo
che esiste. Proprio per quello che abbiamo detto sino ad ora, per
questo nodo che è tutto politico. In Italia c’è una democrazia
incompiuta, e dicendolo non mi sembra di scoprire nulla. Ci sono dei
paletti ben visibili che impediscono alla democrazia di crescere”.
Lo riporto in grande, scusate, perché questa frase - oggi - mi fa rabbrividire
In
Italia c’è una democrazia incompiuta, e dicendolo non mi sembra di
scoprire nulla. Ci sono dei paletti ben visibili che impediscono alla
democrazia di crescere