venerdì 25 maggio 2012

intervista a Giovanni Falcone

Oggi il fuoco tace.
Ne approfitto per postarvi un'intervista a Giovanni Falcone di Saverio Lodato.
Non è facile reperirla: si trova in rete solo sulla versione pdf dell'Unità e trascritta (con qualche errore) in un forum.
Spero di farvi piacere.





Intervista a Giovanni Falcone. “Il controllo del territorio determina anche pesanti condizionamenti dell’elettorato”
“È la mafia a imporre i giochi alla politica”
di Saverio Lodato, L’Unità, 29 Ottobre 1990.

PALERMO - “La situazione è satura, si rischia di oltrepassare il limite di guardia. L’ho detto e continuo a ripeterlo. C’è il rischio che subentrino la sfiducia, la rassegnazione, la demotivazione. Elementi che sarebbero ben più gravi dell’attuale indignazione. Sì: i magistrati sono indignati. E sono indignati perché non sono più disposti ad esporsi eternamente al tiro al bersaglio. Com’è accaduto, ultimo di una fila davvero ormai troppo lunga, al collega Rosario Livatino. Ma dire questo non significa che i magistrati devono pretendere da qualcuno, per fare fino in fondo la loro parte, garanzie di sopravvivenza. Se questa è una guerra, in questa azione di contrasto con i poteri criminali, può accadere che fra le fila dei giudici si registrino delle perdite. Ma il punto è un altro: le uccisioni dei giudici non possono verificarsi per l’insipienza e l’inadempienza del potere politico. Ed è esattamente quello che è accaduto fino ad oggi”.
Giovanni Falcone, come tanti suoi colleghi, è anche lui indignato. Giudica il rapporto mafia-politica come la principale jattura con la quale la sua categoria sia oggi costretta a fare i conti.

Ma quanto pesano, per adoperare le sue parole, insipienza e inadempienza del ceto politico nella falcidia di giudici onesti e coraggiosi?
“In maniera determinante”.

Falcone raramente è solito gridare “al lupo al lupo”. Preferisce interventi tecnici. Tutti giocati all’interno del suo specifico campo di competenze. E a volte guarda con una punta di insofferenza ai colleghi più giovani che gli danno forse l’impressione di non reggere all’impatto con una condizione difficile, quella del magistrato che, quasi per definizione, si trova in trincea. Ma questa volta è proprio lui ad adoperare un registro diverso.

Ascoltiamo queste sue affermazioni.
“Ma perché ci meravigliamo? Per anni e anni, in questo Paese, si è perfino negato che esistesse la mafia. Quando alcuni magistrati, a prezzo di enormi sacrifici individuali, hanno dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che la mafia esisteva, è nata subito una favola avallata dalla Cassazione. Cosa raccontava la favola? La favola raccontava dell’esistenza di una pretesa nuova mafia, costituita comunque solo da organizzazioni criminali, che era sorta sulle ceneri di quella vecchia, che invece era stata buona, innocua e cara. A quella favola ne fece seguito subito un’altra. Una vera e propria corrente di pensiero, secondo la quale questa nuova mafia, era diventata ormai tanto forte e potente da poter fare tranquillamente a meno dei suoi legami con la politica”.

Mafia dunque coccolata, tenuta all’ingrasso, adottata dal potere politico italiano da almeno quattro decenni. Ma Falcone da parecchio tempo dà a qualcuno l’impressione di essere monotematico perché non perde occasione di ripetere che il “terzo livello” non esiste. Dottor Falcone, sta cambiando opinione sull’argomento?
“Proprio per niente. L’espressione “terzo livello” è una schematizzazione concettualmente rozza e riduttiva di qualcosa di ben più articolato, grave e inquietante, di quanto si pensi comunemente. Qualcuno è liberissimo di ritenere che l’espressione “terzo livello” sia una formula magica, propagandisticamente efficace. Io sono libero di non pensarla allo stesso modo. E ritengo, invece, ben più inquietante, ben più gravida di conseguenze immediate, l’affermazione che esiste una mafia che, proprio in quanto tale, in quanto mafia, che differisce quindi dalla semplice organizzazione criminale, detta le regole del gioco alla politica. Ma forse si preferisce non capire”.

Ma il fatto che la mafia detta le regole del gioco della politica è acquisizione recente?
“Nient’affatto. Sperando che nessuno si scandalizzi le dico che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Non dovremmo mai dimenticarlo, e invece spesso lo dimentichiamo: caratteristica essenziale della mafia è il controllo del territorio. Ciò si traduce anche nel condizionamento dell’elettorato, con il risultato che il nodo mafia politica resta inalterato. Se questa sembra una visione rassicurante…”.

E da dove cominciare per recidere il cordone ombelicale tra politica e mafia? Cosa possono fare i giudici? E cosa non è umanamente legittimo pretendere?
“I giudici possono, hanno il dovere di impegnarsi nella loro attività. Ma non sarà mai un’attività esaustiva. Nella nostra assemblea di sabato a Palermo qualche collega ha detto che noi magistrati diamo l’impressione di voler svuotare il mare armati di bicchiere. Verissimo. Ma è altrettanto vero, come ha detto il collega Armando Spataro, che proprio questo è il nostro compito. In altri termini: è da rifuggire, al nostro interno, la tentazione di chi, additando le inadempienze altrui, può suggerire alibi, anche se magari inconsapevolmente, per le proprie inadempienze”.

Non vede il rischio di scaricare sulle fragili spalle dei giudici un fardello che lei stesso, prima, avvertiva pesante come un macigno?
“No. Proprio perché resto del parere che il problema dei problemi è il nesso tra mafia e politica sono anche convinto che spetti al parlamento reciderlo. Ma spetta anche alla società che, esprimendo i suoi rappresentanti al Parlamento, deve costringere i propri eletti a fare il loro dovere”.

Lei come vede l’eventuale riforma elettorale?
“Mi consenta: questi problemi non ci riguardano. E non credo che l’opinione del cittadino Giovanni Falcone interessi alla gente. Non è compito dei giudici elaborare e presentare disegni di legge. Il che, però, non significa che non possano mettere a disposizione il loro bagaglio tecnico e professionale anche su questi argomenti. Sono quindi a disposizione del potere politico, ma di un potere politico che desse concreti segnali di voler voltare pagina. Cosa abbiamo detto se non questo nell’assemblea di sabato? Ci siamo espressi per una sessione del Parlamento che affronti i problemi della giustizia. In altre parole abbiamo detto più o meno al potere politico: se ci sei batti un colpo. Ora siamo in attesa”.

E di questo governo Andreotti che valutazione da Giovanni Falcone?
“Non intendo avventurarmi in giudizi di natura politica, meno che mai in giudizi su singole persone. Credo che nostro compito di magistrati sia quello di costringere qualsiasi governo, qualsiasi Parlamento, a fare la loro parte. Le fughe in avanti sono bellissime, ma sono pur sempre delle fughe dalle proprie responsabilità. D’altra parte io sono convinto che tutti i governi italiani dal dopoguerra ad oggi, nessuno escluso, si sono manifestati inadeguati rispetto a questo fenomeno. Di questa realtà prendiamo atto”.

Avviandoci alla conclusione. Lei è durissimo con il potere politico ma non risparmia qualche bacchettata anche ai colleghi?
“Questa rappresentazione non la condivido. La durezza non è mia. Appartiene a tutte le componenti ideali della magistratura. Ma siccome la magistratura, in questo momento, è scossa dall’enormità dei problemi da affrontare, dalle novità introdotte dal nuovo codice che rivoluziona totalmente il lavoro mentre la carenza di mezzi e uomini resta quella di sempre, in una parola dallo sfascio della giustizia, la magistratura, dicevo, può cedere alla sindrome del fortino accerchiato. E attraversare come sta avvenendo, una forte crisi di identità. Si ha il sospetto che vi sia una ben orchestrata regia volta a far ricadere le colpe dello sfascio alla giustizia, esclusivamente sui magistrati. Ma tutto ciò non deve valere per negare indubbie carenze di professionalità, e certe cadute di tono che sono sotto gli occhi di tutti. La mia preoccupazione è che accentuando i toni della protesta, il potere politico ne possa approfittare per non porre mano ai problemi della magistratura, indicandola come l’unica responsabile di tutto. Sono pericoli che vanno scongiurati”.

Si riferisce a Felice Lima, il giudice di Catania diventato un po’, in queste assemblee di Agrigento e Catania prima, e Palermo dopo, un Masaniello con un ottimo seguito tra i suoi colleghi?
“No, per carità. La definizione giornalistica di Masaniello gli farebbe torto. Lima esprime una situazione che è sentita da tutti noi. Forse saranno i toni, gli accenti, a distinguerlo rispetto ad altri. Ma i contenuti dei suoi interventi sono quelli di tutti, né più né meno. E poi, gli atteggiamenti populistici non pagherebbero. Non dobbiamo mai dimenticare, lo dico a me stesso innanzitutto, che siamo e dovremo continuare ad essere pezzi dello Stato. Se no che giudici saremmo?”.

Può forse interessare alla gente l’opinione del cittadino Giovanni Falcone su questa Italia dei Misteri.
“Certo che esiste. Proprio per quello che abbiamo detto sino ad ora, per questo nodo che è tutto politico. In Italia c’è una democrazia incompiuta, e dicendolo non mi sembra di scoprire nulla. Ci sono dei paletti ben visibili che impediscono alla democrazia di crescere”.

Lo riporto in grande, scusate, perché questa frase - oggi - mi fa rabbrividire

In Italia c’è una democrazia incompiuta, e dicendolo non mi sembra di scoprire nulla. Ci sono dei paletti ben visibili che impediscono alla democrazia di crescere